Europa
von der Leyen torna in sella, la prospettiva italiana in un panorama politico frammentato
La parola d’ordine a Strasburgo è “speranza”. La Commissione guidata da Ursula von der Leyen, che mercoledì scorso ha faticosamente passato l’esame del Parlamento europeo, ha tutte le intenzioni di riprendersi il ruolo internazionale che le spetterebbe di diritto. I voti ottenuti, certo, non sono stati quelli che la presidente si aspettava, ma sufficienti comunque per rimetterla in sella. Le difficoltà nell’istituzione della nuova Commissione sono andate oltre il semplice ritardo procedurale: impegnata in schermaglie interne anziché proiettata verso soluzioni comuni e innovative, l’Unione europea per mesi è apparsa debole, lenta nell’affrontare le sfide più urgenti, la competizione con la Cina e i Brics, e l’emergenza climatica.
In un contesto internazionale di enormi cambiamenti, con una nuova amministrazione statunitense e due laceranti conflitti in corso a poca distanza dai confini della Ue, l’assenza di un player fondamentale, come quello di una Commissione nel pieno delle proprie funzioni, si è fatta sentire e ha creato problemi. A noi europei, naturalmente, ma anche ai “lontani” Stati Uniti, che vorrebbero che le due più gravi situazioni belliche, in Ucraina e in Medio Oriente, fossero gestite dalla Nato insieme alla stessa Unione europea.
La nuova governance
Finalmente la Ue ha una vera governance, forte se non altro perché eletta, all’interno della quale si spera si riusciranno a trovare gli equilibri necessari per tornare a rappresentare un player da far sedere al tavolo, a differenza di altre grandi istituzioni mondiali in crisi, prima fra tutte l’Onu. E in questo contesto l’Italia ha una grande occasione che va sfruttata a pieno, specie ora che il governo mostra stabilità, una prospettiva di continuità nel lavoro e la capacità di aver proposto con successo un proprio rappresentante nella nuova Commissione europea con la qualifica di vicepresidente esecutivo.
Nel resto del Continente il panorama politico appare molto più frammentato. La Germania, un tempo motore dell’Unione, non riesce a uscire dalla crisi industriale, che si ripercuote sulla politica: parlando al telefono con Antony Blinken, il cancelliere Scholz ha assicurato che Berlino continuerà a sostenere l’Ucraina, ma ha anche ribadito l’urgenza di concentrarsi sull’economia interna, un tema dominante con le elezioni alle porte. La nuova leader conservatrice Kemi Badenoch sta dando filo da torcere al premier britannico Starmer, ribaltando gli equilibri di una politica ancora segnata dalla Brexit; il premier spagnolo, intanto, è in ginocchio dopo il disastro di Valencia.
Oggi il nostro paese può presentarsi agli occhi della nuova amministrazione statunitense come un interlocutore affidabile, pronto a parlare a nome dell’Europa. Ha un’opportunità unica di proporsi agli Stati Uniti come una forza moderata e pragmatica, alternativa a figure come Viktor Orbán, l’altro interlocutore di Trump, che rappresenta un’Europa polarizzata e divisa. Non va dimenticato che fino a pochi anni fa i leader di Germania e Francia ironizzavano su un’Italia percepita come instabile, incapace di incidere sulle dinamiche europee. Oggi è vero il contrario: mai come ora siamo in grado di giocare un ruolo chiave nello scacchiere internazionale.
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