Qua al Riformista continuiamo a non capire. E continuiamo a fare domande. Ieri ci ha pensato Sansonetti, oggi tocca a me. Sono settimane che chiediamo ai leader del centrodestra sempre la stessa cosa: ma perché non volete cogliere l’opportunità di mandare a casa il governo Conte offerta dal referendum del 20 e 21 settembre sul taglio dei parlamentari? È vero, avete tutti obbligato i vostri deputati e senatori a fare i tacchini che votano a favore del Natale per approvare questa legge praticamente all’unanimità e inseguire la scellerata demagogia anti-casta dei 5 Stelle, pur sapendo molto bene che questa riforma costituzionale è scellerata anch’essa, perché non migliora di una virgola l’arzigogolo istituzionale che rende il nostro processo legislativo una corsa a ostacoli. Ma adesso, a una ventina di giorni dal voto, è evidente a tutti che oltre a compiere un passo che indebolirà la nostra democrazia liberale, riducendo il ruolo del Parlamento, trasformando il popolo italiano nel meno rappresentato d’Europa e rendendo ancora più facili i ribaltoni che, quelli si, hanno disgustato l’opinione pubblica tutta senza eccezioni, vi apprestate a perdere l’ultimo treno per le elezioni che passerà da qui alla scadenza naturale della legislatura. E perché lo fate?

Le possibilità sono tre: o davvero non confidate più nella forza della ragione e vi siete arresi alla dittatura della pancia dell’elettorato e non volete cambiare idea, o avete dei sondaggi che vi certificano che vincerà il SÌ 96 a 4 (e ci sta, ma allora meglio dirlo, è più onesto), oppure non volete andare ad elezioni anticipate perché la situazione attuale tutto sommato non vi dispiace.

Un governo così debole e delegittimato, alle prese con problemi così seri, in effetti è tutt’altro che sconveniente per un’opposizione ancora alla ricerca, come si dice di questi tempi, di un nuovo storytelling per il Paese piegato dall’incertezza, dalla mancanza di soldi e di prospettive. Ma sarebbe un opportunismo che il centrodestra non può e non deve perseguire, se ha a cuore i propri concittadini e la loro rappresentanza. Questo lasciamolo fare al Pd, che proprio ieri col suo leader Zingaretti ha decretato il proprio tatticismo su un tema tanto importante: ha detto “ci schieriamo per il SÌ ma solo a condizione che si faccia la legge elettorale”, che come tutti sanno è l’elemento dirimente del futuro successo o insuccesso di ogni partito politico. In altre parole: cari grillini, siete messi male, questo taglio dei parlamentari l’avete voluto solo voi in effetti, vi siamo venuti dietro per convenienza, ma ora che i tempi sono cambiati se volete che vi diamo una mano veniteci incontro con una legge elettorale che ci favorisca e magari abbatta tutti quei piccoli partitini che ci danno fastidio.

Questo è il mercato politico attorno al referendum, e non è bello che sia così. Ma del resto sulle tantissime ragioni per votare no si sono ormai espressi tutti gli intellettuali, i costituzionalisti e gli opinion-makers possibili. Ora siamo alla fase tattica. Il centrodestra non sia opportunista come le forze di questo governo, voli alto, riconosca che quella della demagogia a Cinque Stelle non è una strada da seguire, perché fa male alle istituzioni e ai cittadini e ora piano piano tutti lo stanno capendo. E non basta dire, come ha fatto Salvini, che su questo voto si lascia libertà di coscienza ai propri eletti e militanti, non è sufficiente, qua va presa una posizione chiara, perché se questa riforma passa si fa un danno grosso di cui pagheremo il conto fra qualche anno, come successe per la riforma del Titolo Quinto della Costituzione nel 2001, che attuò una devolution raffazzonata e caotica dei poteri dello Stato verso le Regioni, consegnando l’Italia al pasticcio di competenze in cui annaspa oggi. Bisogna avere il coraggio di dire che abbiamo sbagliato a sostenere il SÌ, che non si può rendersi complici di una ferita indelebile alla democrazia liberale. E in più bisogna spiegarlo che questa è stata una battaglia dei soli 5 Stelle, che è effetto di un modello politico che noi combattiamo perché fallimentare nei principi e nei fatti.

Rischia che se poi aggiungiamo che è l’occasione per mandare a casa questo governo, e lo diciamo chiaramente, ci troviamo a sorpresa con la maggioranza degli aventi diritto che a votare ci va, perché l’occasione non vuole farsela sfuggire. Ecco, i leader del centrodestra dimostrino di non essere loro, invece, a voler farsela sfuggire, e ascoltino i loro popoli, a cui frega poco di quanti parlamentari ci sono, ma vogliono invece un governo che gli dica quando arrivano un pò di soldi e di regole chiare per consentirgli di sopravvivere a questa crisi epocale.
Su queste pagine due giorni fa il Presidente della Fondazione Einaudi, Giuseppe Benedetto, che assieme a me nell’ottobre scorso ha dato vita alla raccolta delle firme per consentire che si tenesse il referendum, ha scritto che “ora la vittoria appare a portata di mano.

Basta poco. Un impegno, in questi pochi giorni che mancano al voto, di quanti hanno a cuore la democrazia liberale e ci sarà il salto di qualità di un’Italia che dice no al populismo, archiviando una triste e sterile stagione politica. Un’altra Italia c’è.”

Basta poco, tappezzare di manifesti i capoluoghi italiani, con la foto di Conte e un semplice slogan: se vuoi mandare a casa questo governo il 20 e 21 settembre vota NO al referendum.
È vecchia politica, non è abbastanza digitale, non è abbastanza social? Forse, ma è efficace. Senza entrare tanto nelle spiegazioni e nei tecnicismi, tanto molti italiani hanno capito benissimo che il taglio delle teste dei parlamentari è un regalo fuori tempo e fuori logica alla propaganda grillina. Voi leader del centrodestra lo sapete meglio di chiunque altro, e allora perché non vi decidete?