Si vota il 20 settembre per il referendum. Giornata impegnativa. Il 20 settembre del 1870, esattamente 150 anni fa, ci fu la breccia di Porta Pia. Cioè l’irruzione della democrazia a Roma e la fine del regno Pontificio. Stavolta invece si celebra un referendum che dovrebbe sancire il ridimensionamento del Parlamento italiano. Settant’ anni dopo la caduta del fascismo la democrazia è invitata a fare un passo indietro anziché un passo avanti.

La legge voluta dai 5 Stelle, e alla quale si sono inchinati rassegnati i rappresentanti di quasi tutti gli altri partiti (esclusi i radicali) è stata festeggiata dai ragazzi di Di Maio, lo scorso 8 ottobre, con uno spettacolare striscione dove erano disegnate molte poltrone di velluto e di princisbecco, per spiegarci che il sistema parlamentare non è altro che un sistema di poltrone, di privilegi e di ornamenti dorati. Di Maio, circondato da un drappello di grillini festanti, prese le forbici e tagliò lo striscione, contento, ridente. Voleva dire: do un taglio a questo parlamento e nessuno mi ferma. Tra l’euforia anche dei fotografi. I giornali pubblicarono vistosamente quell’immagine: la fine del vecchio regime fondato sul decrepito parlamentarismo.

L’ingresso nella modernità, nell’efficienza, nel regno della piattaforma Rousseau e della democrazia privatizzata.
Non c’era nulla di strano in quelle immagini. L’antipolitica è per necessità di cose antidemocrazia. Per come si è sviluppata la storia occidentale di questi due o tre millenni, democrazia e politica hanno teso a coincidere.
La politica può sopravvivere senza democrazia, soffrendo; la democrazia non esiste senza politica. Quello che stupì, l’otto ottobre, non fu il festeggiamento fascisteggiante dei 5 Stelle, fu il risultato del voto in aula. Bulgaro. Quasi unanimità. 14 voti contrari: i radicali, un gruppetto di deputati riuniti intorno a Maurizio Lupi, un paio di Pd dissidenti. Possibile che la struttura portante, la classe dirigente della democrazia italiana, erede dei grandi partiti di massa e democratici, tutti scattassero allo schioccar di dita del giovane e ben pettinato Di Maio? Possibile.
I partiti decisero così. Per ragioni diverse, che adesso non è interessantissimo esaminare. Fondamentalmente per paura, e per la soggezione – che ormai domina le nostre deboli classi dirigenti – verso i sondaggi.

Ora però la partita si è riaperta. Perché comunque una parte minoritaria ma non inconsistente del Senato e della Camera, dopo quel voto che ha segnato un po’ il giorno della vergogna, si è ripresa ed ha chiesto e ottenuto il referendum confermativo. Si vota, appunto, il 20 settembre. Si prevede una maggioranza schiacciante per il sì. Tutti i partiti di maggioranza si sono espressi per il sì. Compresi i partiti della sinistra, che vengono da una tradizione di lotta perenne contro le tentazioni antiparlamentari. E anche i partiti del centrodestra hanno detto sì. Da qualche settimana però iniziano a sollevarsi singole voci di deputati e senatori, o anche di gruppi di deputati e senatori, di sinistra e di destra, che chiedono un impegno a favore della democrazia parlamentare.

Chiedono ai loro partiti di schierarsi per il no. Loro dicono che effettivamente la democrazia parlamentare ha molti difetti. Però, finora, la democrazia parlamentare è l’unica forma di democrazia conosciuta. Vogliamo farne a meno? O comunque dire al Paese che va ridotta, va tagliata, va ridimensionata, va messa in un angolo, anche perché costa troppo? L’argomento più forte usato dagli antiparlamentaristi è quello: costa troppo il Parlamento. Tagliando i parlamentari si riducono i costi. Di quanto? Chi dice 50 milioni all’anno, chi dice 70. Circa un euro all’anno per ogni italiano. La quarantamillesima parte del Pil.

C’è nella storia del nostro Parlamento un discorso molto famoso, tenuto il 16 novembre del 1922 dal Presidente del Consiglio dell’epoca. Disse così: «Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.» Il Presidente del Consiglio si chiamava Benito Mussolini. La Camera applaudì. Il Parlamento da quel momento perse il 90 per cento dei suoi poteri.  L’ultimo 10 per cento lo perse due anni dopo, nel 1924, quando Mussolini pronunciò un altro discorso molto famoso dopo l’uccisione del leader socialista Giacomo Matteotti. Vi sembrerò un po’ drastico, ma non credo di esserlo. La domanda è questa: davvero dobbiamo votare sì e andare alla coda dei grillini? Davvero il populismo è inevitabile, come inevitabile fu il fascismo nel 1922? Dobbiamo ridimensionare la democrazia parlamentare? Preferiamo un Parlamento forte o un bivacco.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.