Sta prendendo quota il dibattito sull’imminente (quanto sconosciuto agli elettori) referendum confermativo per la riduzione dei parlamentari e, parallelamente, si apre la discussione tra le forze politiche sulla legge elettorale che dovrà necessariamente accompagnare questa ennesima riforma della nostra Costituzione. Qualche anno fa ho difeso la nostra Carta dal tentativo di Matteo Renzi di cambiarne i connotati seppur in modo meno volgare di come si tenti di fare oggi, da parte del M5S, in nome di un “risparmio” dei costi di gestione del Parlamento che Carlo Cottarelli ha valutato nell’ordine dello 0,0007% della spesa pubblica.

Sappiamo bene quale sia la considerazione che i rappresentanti della Casaleggio & Associati nutrano per la democrazia parlamentare e conosciamo le motivazioni per le quali la Lega, prima, ed il Partito Democratico, dopo, hanno avallato lo sfregio alla rappresentanza di interi territori e minoranze o accettato la distruzione degli equilibri istituzionali sanciti dalla seconda parte della Costituzione per tutta una serie di votazioni, non ultima quella del Capo dello Stato. A Montecitorio si sente ancora l’eco degli alti lai lanciati dai colleghi dell’opposizione per il “furto di democrazia” perpetrato da Giuseppe Conte con il prolungamento dello stato d’emergenza, mentre sale un silenzio assordante sul pericoloso combinato disposto tra l’attuale sistema elettorale maggioritario ed una composizione delle Camere che cancellerebbe il diritto di tribuna a larga parte dell’opposizione.

Mi sono già espressa in modo chiaro e formale in favore di un cambiamento del vigente sistema elettorale in senso proporzionale, ma voglio ribadire questa posizione – che so condivisa da tanti colleghi, anche in Forza Italia -, perché credo sia giunto il momento, per tutti, soprattutto nel centrodestra, di guardare in faccia la realtà. Il Paese è chiamato ad affrontare sfide epocali in termini economici e sociali alle quali occorre rispondere con una visione del futuro meno claustrofobica e domestica di quella che emerge dalle parole d’ordine dei nostri naturali alleati. Con un debito che si appresta a superare il 160% del PIL ed una disoccupazione che non risparmia nessuna area del Paese non sarà possibile scrivere, come due anni fa, un programma comune (poi bellamente ignorato da Salvini) del centrodestra; sarebbe un suicidio per il nostro partito e per l’Italia stessa, avallare posizioni anti europee o cercare sponde politiche al di fuori del perimetro occidentale nel quale siamo utilmente collocati dal dopo guerra.

Personalmente aggiungerei le diverse sensibilità – che dovrebbero caratterizzare un partito autenticamente liberale come quello forgiato da Silvio Berlusconi – sui temi legati ai diritti civili (dalla legge in discussione sull’omofobia fino allo ius-culturae, solo per citarne alcuni) anche se mi rendo conto che, in questo caso, la condivisione all’interno del nostro Gruppo parlamentare é minore. L’elenco delle divergenze si allungherebbe ulteriormente se si prendesse in considerazione il progetto di autonomia regionale sponsorizzato e appena rilanciato dalla Lega nonostante le evidenti contraddizioni emerse durante la pandemia, o il ricorso al finanziamento del nostro debito tramite il MES, ecc.

Invocare il proporzionale, dunque, non rappresenterebbe a mio avviso il “tradimento” del bipolarismo (peraltro vissuto, in questo caso, come “necessità” elettorale e non come “virtù” politica) ma sarebbe un atto di chiarezza indispensabile verso il nostro elettorato al quale dobbiamo sottoporre e far valutare le nostre idee e non gli slogan, spesso vuoti e retorici, che servono per gonfiare i sondaggi ma che diventano inutili e dannosi orpelli per governare. Sarà poi il voto libero degli italiani a decidere che “peso” dare alla concretezza ed al realismo delle nostre idee.