Luciano Violante, già Presidente della Camera, giurista e magistrato in prima linea, oggi parla nella veste di Presidente onorario di Italia Decide, associazione che si propone di individuare soluzioni per sbloccare il Paese, troppo spesso imbrigliato. E da qui partiamo.

Conte gira per le cancellerie e il dibattito politico si infiamma sull’Europa, sul Mes.
Il viaggio è stato commentato da molti con atteggiamenti autodenigratori, che mio avviso sono sbagliati e dannosi per la nostra reputazione.

L’Europa chiede tra le condizioni per il Mes una riforma della giustizia.
Sa una cosa? In realtà l’Europa non dispone di dati corretti sull’Italia, perché spesso i dati riguardano solo le capitali. Parigi funziona meglio di Lione o Bordeaux, ma Roma non funziona meglio di Milano. I dati reali italiani sono nella media e talvolta migliori di quelli europei. C’è una disparità di efficacia tra gli uffici giudiziari. Viene fuori un problema: per quale motivo, a parità di regole, il Tribunale A funziona meglio del Tribunale B?

E che cosa si risponde?
Se con quelle regole alcuni funzionano e altri no, vuol dire che il problema sta negli uffici, non nelle leggi. Italia Decide ha svolto questa ricerca due anni fa e adesso verificheremo se le cose da allora sono cambiate in meglio o in peggio. Talvolta i dati del Ministero ci sono, ma l’Europa non ne tiene conto.

Quali potrebbero essere le sue priorità per la riforma della giustizia?
Bisogna riportare l’attenzione dal piano delle parole a quello dei fatti. Quante udienze alla settimana tengono i singoli uffici giudiziari? Quali tipi di udienze? Quanto durano? Fare una mappatura geo-giuridica della giustizia. Conoscere per decidere. Una indagine di questo tipo potrebbe essere fatta anche dalle Commissioni giustizia della Camera o del Senato. Non si può prescindere dai dati.

Il Csm a sorteggio la convince?
No, non mi convince. L’approccio ai problemi strutturali con soluzioni elettorali non funziona. È l’organo che va ripensato dalle fondamenta. L’attuale struttura del Csm fu pensata alla metà del secolo scorso; può essere adatta a governare la magistratura di oggi? Io credo di no. La magistratura oggi fa parte del governo del Paese. Quando il Csm fu istituito, la magistratura era un’istituzione di funzionari periferici. Oggi si tratta di una componente della governance del Paese.

Che cosa pensa della commissione disciplinare del Csm che oggi presiede Davigo?
Tutte le disciplinari vanno affidate a organi diversi e autonomi. Le sembra il caso che un magistrato del Tar faccia un ricorso contro il consiglio di presidenza, che magari ha respinto la sua domanda di trasferimento, e quel ricorso viene giudicato da un altro Tar che è soggetto a quell’organo che ha emanato il provvedimento impugnato? Poi, alla fine, sono sempre Cassazione e Consiglio di Stato che decidono, perché i provvedimenti sono impugnati quasi sempre.

Palamara chiama 133 nomi come testi della difesa. Quale messaggio vuole dare?
Si deve difendere, è un suo diritto. Ne sono stati ammessi pochi. Ogni organo giudicante decide se ammettere o meno i testi.

Tra i nomi che cita come testimoni informati c’è anche quello di Davigo.
Ci potrebbe essere un motivo; io non lo conosco.

Come giudica l’idea di istituire una commissione di inchiesta parlamentare sulla malagiustizia?
Vedo una preoccupante tendenza del sistema giudiziario a entrare nel merito della politica e viceversa, la politica che troppo spesso vuole vestire la toga. La democrazia si regge sull’equilibrio tra i tre poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario, ndr) e se uno di questi non rispetta i propri limiti, possono esserci squilibri gravi ai danni dei cittadini.

L’audio del giudice Amedeo Franco ci dice che quei limiti sono stati calpestati, con magistrati che si sono incaricati di svolgere un lavoro di contrasto politico vero e proprio.
Quel che si sente in quell’audio è certamente molto discutibile. Si tratta pur tuttavia dell’audio di una persona non più in vita e non si capisce perché è stato tenuto riservato fino a oggi.

Ciò detto, è un audio che rivela una precostituzione politica, un pregiudizio che trasforma l’arbitro in un centravanti.
Il dottor Franco poteva dissociarsi dalla decisione, come prevede la legge. Ma non lo ha fatto. Quella sentenza porta la sua firma ed è stata pronunciata con il suo consenso.

Tuttavia su Berlusconi qualche barricata oggi cade. Le aperture dello stesso Romano Prodi e di Carlo De Benedetti, sono emblematiche.
Forza Italia nella maggioranza? Io non lo troverei scandaloso: ma occorrerebbe trovare un programma comune tra Pd, M5s e Forza Italia. Non penso che Forza Italia si consideri solo una appendice numerica. Prima vanno precisati gli obiettivi, poi siglate le alleanze.

Lei è sempre stato per il dialogo, fin dal suo discorso di insediamento alla Camera…
Dialogo e governo sono cose diverse. Che maggioranza e opposizione dialoghino è un dato di grande civiltà politica. Fare insieme una maggioranza di governo vuol dire condivisione della strategia complessiva, un programma di obiettivi da realizzare. Ed è cosa più complessa.

Pd e Cinque Stelle condividono una strategia complessa? Non le sembra che il Pd finisca per mandare giù tutti i rospi dei Cinque Stelle?
Se io fossi Di Maio lei mi chiederebbe la stessa cosa, a parti invertite.

Ma lei è Democratico.
Quando due forze politiche diverse si sono dovute inventare un percorso comune nell’arco di poche settimane, non tutto è condiviso. Ma neanche nell’opposizione le cose sono più chiare. Gli elementi comuni tra FI, Fdi, Lega non sono definiti con chiarezza. Sono entrambe alleanze competitive; nessuno fa beneficienza all’altro.

D’altronde il sistema elettorale premia la peculiarità. Anche il Germanicum.
Il sistema elettorale trasforma i voti in seggi, non garantisce in sé la stabilità. La Germania con il proporzionale ha stabilità. La Gran Bretagna e la Spagna con il maggioritario hanno attraversato momenti di grande instabilità.

Esiste un problema di populismo giudiziario?
Forse l’espressione l’ho inventata io qualche anno fa. Ma non sono sicuro. Si tratta del tentativo di risolvere problemi di carattere politico e sociale con misure giudiziarie, presentandole al popolo come quelle che risolvono le cose perché puniscono: la punizione come soluzione. C’è una passione punitiva. E poi c’è il plebeismo giudiziario.

Come si definisce il plebeismo giudiziario?
Si solleticano gli umori più vendicativi e irrazionali: “Sbattiamoli tutti dentro e buttiamo la chiave”: è questo il plebeismo giudiziario.

Tanti partiti, pochi leader.
Siamo passati dal principio di rappresentanza al principio di somiglianza. Un principio che inverte la dinamica della guida politica: io non vi rappresento per doti di prestigio ma perché sono come voi, mi comporto come voi. Una falsa mescolanza, per cui il leader non primeggia ma finge soltanto di essere uno come tutti, si finge l’elettore medio. È una forma di frode all’elettore. Un meccanismo che svuota il principio di rappresentanza. E vale anche all’interno dei partiti con i rappresentanti che vengono valorizzati quanto più sono somiglianti al leader. In alcuni partiti è in corso un processo di caporalizzazione.

È un sistema riformabile, quello dei partiti?
Il problema, a mio avviso, non è nei partiti. È la decisione, il sistema decisionale che non funziona. E i partiti sono presi in una tenaglia tra l’esigenza di decidere e l’inadeguatezza della procedure parlamentari. Siamo affetti inoltre da un policentrismo anarchico, con troppi centri ciascuno dei quali reclama non sinergie ma separazioni. Comunque il primo processo decisionale da rivedere è quello parlamentare.

Tra poco si voterà anche per ridurre il numero dei Parlamentari.
Sì. E passare a meno deputati alla Camera non cambierà molto. Per il Senato sarà diverso. Un Senato di 150/160 membri effettivi non può fare il lavoro che fino a poco tempo prima facevano 315 senatori. Rischia di essere una palla al piede nel processo decisionale. La mia idea è che bisogna assegnare alla sola Camera il voto finale sulle leggi e il potere di dare e togliere la fiducia al Governo. Il Senato può proporre alla Camera eventuali modifiche e potrebbe essere la sede dove si sviluppa il dialogo Stato-Regioni. La riforma del procedimento legislativo é indispensabile.

Superando il sistema del bicameralismo perfetto.
In materia costituzionale bisogna fare il minimo indispensabile, non il massimo possibile. Con una ambizione: ricostruire un ordito istituzionale.

E riassegnare una gerarchia dei poteri.
Non c’è dubbio, bisogna riorganizzare i poteri dello Stato. Se pensiamo a quello che è accaduto con la crisi Covid, a quelle ordinanze continue, sovrapposte e contraddittorie tra Comuni, Regioni, Protezione Civile, Ministeri e Presidenza del Consiglio nelle quali ciascuno tentava di dire la sua e il povero cittadino non sapeva cosa fare, capiamo che siamo arrivati al limite. Il policentrismo deve essere ben governato.

Il Referendum Renzi-Boschi è stata una occasione persa?
Io ho sostenuto quella riforma, indicava la strada giusta. E penso sia stata un’occasione persa: ci avrebbe dato un sistema molto più funzionante di quello che abbiamo oggi.

Nella tripartizione dei poteri, in una democrazia parlamentare si dovrebbe dare priorità al legislativo su tutti.
In una democrazia parlamentare la sovranità è esercitata dal parlamento che rappresenta il popolo. La sovranità sta lì. Ma la sovranità va esercitata. Il Parlamento negli ultimi vent’anni ha invece rifiutato di esercitare la propria sovranità, affidandola ad autorità indipendenti, alla magistratura, al governo. Bisogna ricostruire la sovranità del Parlamento, che è la sovranità della rappresentanza, nelle forme proprie del XXI secolo.

Questa legislatura non lo è?
Ho la sensazione che nelle ultime legislature alcune decisioni e alcuni comportamenti siano stati frutto di una indifferenza al problema della sovranità o di una sua sottovalutazione.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.