Turbine di ricordi: il lockdown, i Dpcm, il Parlamento sostituito dalle dirette Facebook del premier, lo spettro dei “pieni poteri”. Ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato la proroga dello stato d’emergenza per il Coronavirus, oltre il termine finora previsto del 31 luglio e almeno fino alla fine dell’anno. Con questo provvedimento il premier potrà firmare nuovi Dpcm, decretare i lockdown, stabilire altre “zone rosse” e favorire Protezione Civile e la task force di Domenico Arcuri nel mercato selvaggio di mascherine e strumenti sanitari. Una mossa per fare trovare pronta l’Italia in caso di seconda ondata del Covid-19. E un grande rafforzamento del ruolo di Conte.

L’annuncio è stato dato quasi con nonchalance nella malinconica Venezia alla cerimonia per il primo test completo delle dighe mobili del Mose. Ma neanche queste portentose e costose paratie hanno protetto il premier dalla tempesta politica scatenata dal suo annuncio. Secondo Conte «lo stato d’emergenza serve per tenere sotto controllo il virus». Per l’opposizione invece è quasi uno strumento di Palazzo Chigi per mettere sotto controllo gli italiani. Non usa mezze parole il leader della Lega Matteo Salvini: «Gli Italiani meritano fiducia e rispetto. Con tutte le attenzioni possibili, la libertà non si cancella per decreto». Sulla stessa linea la presidente di Fratelli D’Italia Giorgia Meloni: «Ad oggi non mi pare che ci siano i presupposti per prorogare fino alla fine dell’anno lo stato d’emergenza, che ricordiamo è uno strumento del quale il governo dispone per fare un po’ quello che vuole».

La pasionaria sovranista non ci gira intorno: «Per troppo tempo è stato consentito che Giuseppe Conte si muovesse indipendentemente dalle prerogative parlamentari». È questo il timore urlato dall’opposizione e sussurrato dalla maggioranza: il premier vuole i “pieni poteri”, quelli che bramava Salvini al Papeete ma che nei fatti ha avuto Conte durante la lunga fase critica dell’emergenza sanitaria. Un periodo nel quale l’inquilino di Palazzo Chigi, consigliato dal comitato scientifico, comunicava direttamente ai cittadini su Facebook, esponendo i Dpcm che hanno stravolto la libertà di circolazione e il lavoro in Italia. Durante lo stato d’emergenza il Parlamento è stato sostanzialmente accantonato, bypassato dalle idee degli scienziati e dai decreti del premier. È un’esperienza che i partiti non vogliono subire di nuovo. Inclusi gli alleati di governo. Stefano Ceccanti, capogruppo del Pd in commissione Affari Istituzionali tuona: «Se il Governo vuole prorogare lo stato di emergenza venga prima in Parlamento a spiegarne le ragioni». Il costituzionalista di area democratica Francesco Clementi si definisce “perplesso” e al Riformista dice: «Questa proroga deve essere giustificata con l’esposizione di ragioni valide e nel pieno coinvolgimento del Parlamento. Parliamo di una misura eccezionale e non esiste alcun automatismo».

Un navigato parlamentare del Pd palesa al Riformista i sospetti di molti: «Conte vuole compiere una forzatura politica. Allungando l’emergenza e gli annessi poteri speciali, il premier intende rafforzarsi e mettersi al riparo rispetto a eventuali scenari futuri. Come l’esito delle elezioni regionali, il possibile passaggio di Berlusconi in maggioranza e future richieste di cambio al vertice». Anche Italia Viva ha vissuto con fastidio questo annuncio e non intende fare sconti al premier. Il deputato renziano Marco Di Maio dichiara al Riformista che «Conte deve venire in aula a chiedere la proroga e a motivarla, dando vita a un confronto sulle iniziative da adottare». La tormentata Forza Italia sulla questione alterna tiepide aperture a chiusure nette. Come quella del senatore azzurro Maurizio Gasparri che al Riformista ha così recitato: «Il governo Conte/vuole diventare un governo ponte/ ma noi tutti insieme lo mandiamo a monte». Una sorta di haiku per dire che stavolta nessuno intende dare la delega in bianco al premier. Il Coronavirus non basta più.