“Avremo uno Stato amico delle imprese”, “gli appalti saranno più veloci”, “puniremo i funzionari pubblici che non fanno”. Ascoltando il premier Giuseppe Conte, elegante e festoso in conferenza stampa nonostante le poche ore di sonno, sembrava di sentire il Silvio Berlusconi della “rivoluzione liberale”. D’altronde liberale, nel senso di nemico dello Stato-Padrone e dell’infinita penitenza amministrativo-burocratica, è lo spirito alla base di un decreto-legge battezzato non a caso “Semplificazioni”. Il dl, stimolato dalla crisi post Coronavirus, e approvato “salvo intese” e quindi potenzialmente suscettibile di varie modifiche a seconda delle bandierine che i partiti di maggioranza vorranno intestarsi, si propone di proiettare l’Italia ferita in una Fase 3 fatta di rapidità e cantieri. Il provvedimento dà il via allo sblocco di 130 grandi opere.

Di queste circa 50 partiranno subito, come la Palermo-Catania-Messina, la Pescara-Roma, la Venezia-Trieste, la Gronda, la Ionica, e l’ampliamento della Salaria. Tutte con un commissario speciale, sul modello Expo di Milano e il nuovo ponte di Genova. Il premier ha promesso che gli appalti saranno più veloci: niente gara sotto i 150 mila euro, la soglia per l’affidamento diretto passa da 40 mila a 150 e fino a 5 milioni non ci sarà il bando e la gara sarà negoziata. E ancora sopra i 5 milioni la regola resta la gara ma con un’abbreviazione dei termini salvo ci sia causale Covid e in questo caso si procede con la procedura negoziata e gli inviti. Inoltre è stato modificato, con validità fino al 31 luglio 2021, il reato d’abuso d’ufficio per i funzionari e dirigenti pubblici, un intervento che Italia Viva non voleva fosse dentro il decreto e che i maligni sospettano sia una norma ad personam a favore della sindaca pentastellata di Torino Chiara Appendino, sotto processo per falso in atto pubblico e abuso d’ufficio.

Con questa temporanea revisione del reato la responsabilità per chi autorizza un’opera sarà limitata al solo dolo. Mentre resta “la colpa per le inerzie e i ritardi”, come ha sottolineato il premier che con intende cancellare la “paura della firma per i funzionari pubblici”. Il decreto dovrebbe anche rilanciare l’immagine un po’ sbiadita di Conte e del suo esecutivo, la cui maggioranza formata da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e Italia Viva non trova corrispondenza nelle elezioni regionali di settembre, un test politico che rischia di lasciare forti strascichi. Il presidente del Consiglio considera questo decreto come il lasciapassare per ottenere il Recovery Plan dall’Unione Europea: la prova che l’Italia da lui guidata, finalmente capace di aggredire alcuni suoi antichi demoni come la burocrazia, meriti i miliardi e il sostegno europei. E già ieri è partito per un tour continentale finalizzato alla causa.

Alle spalle si lascia una maggioranza adesso un po’ più serena, con -almeno per il momento- i renziani perfino sorridenti. La deputata Lella Paita, una sorta di madrina del “Piano Shock” proposto da Italia Viva in autunno, dichiara al Riformista di essere “soddisfatta” di un decreto che in larga parte “riprende le idee del Piano Shock, come lo sblocco delle grandi opere, la semplificazione della fase appaltante, la riduzione dei tempi dei ricorsi e la figura dei commissari speciali”. Paita parla di una “vittoria culturale” per il partito guidato da Matteo Renzi: “All’inizio ci prendevano per matti quando chiedevamo di riaprire i cantieri e di investire 120 mld in opere pubbliche, poi ci sono venuti dietro. Vince il modello che favorisce la creazione di nuovi posti di lavoro e perde l’assistenzialismo”. Eppure qualcosa al Parlamento si muove, in coincidenza con le insofferenze di altri due liberali: Silvio Berlusconi e Carlo Calenda.

L’ex premier vive male l’alleanza forzata con i sovranisti Matteo Salvini e Giorgia Meloni, a differenza dei quali invoca con forza il Mes e non esclude un nuovo esecutivo in questa legislatura. Secondo alcuni retroscena un Berlusconi ormai esausto di dover mediare con gli alleati e i suoi stessi parlamentari avrebbe pure vagheggiato l’ipotesi di una sorta di nuovo centro con Emma Bonino, Matteo Renzi e Carlo Calenda. Proprio l’europarlamentare e leader di Azione ha rilanciato le grandi intese, invocando un “governo larghissimo, il più largo possibile, anche con Berlusconi e i pezzi più intelligenti della Lega come Zaia. Sarebbe bene che i partiti che in Ue sono alleati governassero insieme l’Italia”. Si riferisce a Forza Italia e Partito Democratico, entrambi partiti elettori dell’attuale presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Aleggia lo spettro di un governo “Ursula”.

E potrebbe manifestarsi con forza all’indomani di elezioni regionali andate male per il governo, schierato in direzione ostinata e (a sé) contraria, e di una rottura interna al Movimento 5 stelle, alle prese con il suo congresso-ombra. Ieri Conte ha incontrato Davide Casaleggio, tre ore di confronto su tutto, dal governo alle regionali, passando per il M5S. All’uscita il presidente della piattaforma Rosseau ha dichiarato di aver consegnato al premier il piano dell’associazione “Gianroberto Casaleggio” contenente 10 punti per “il rilancio del Paese”. Un “aiuto” che sa di “avviso”. Purtroppo per Conte l’enigma su Casaleggio, Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e il ruolo di un Movimento diviso e in crisi, non si poteva semplificare per decreto.