«La legislatura andrà avanti fino al 2023, la sua scadenza naturale» assicura Matteo Renzi nella terrazza della galleria Borghese dove ha scelto di presentare La mossa del cavallo, il suo ultimo libro (Marsilio nodi). Nella sala accanto c’è il magnifico blocco marmoreo con cui Bernini raffigurò Enea, il padre Anchise sulle spalle e il piccolo Ascanio, il paradigma artistico di quello che dovrebbe essere il patto sociale tra generazioni, ciascuno salva l’altro per salvare se stesso. La statua è anche la copertina del libro perché “la mossa del cavallo” non è aver scansato il voto e aver impedito i “pieni poteri” a Salvini nell’agosto 2019 bensì, «senza smettere di piangere i morti», cogliere nel post Covid «la più grande occasione di crescita e cambiamento che questo paese ha avuto negli ultimi trent’anni». E per questa sfida «non servono nuove squadre di governo, allargamenti, rimpasti» bollate da Renzi come discussioni “secondarie”. Sempre che Conte riesca a scansare tre trappole pronte a scattare.

L’uscita de La mossa del cavallo arriva, non a caso, quando l’Italia inizia la Fase 3, quella – in teoria – della ripresa e della ripartenza. Renzi parla dopo che il Presidente della Repubblica ha indicato nell’“unità morale” e nel “comune destino” che non possono appartenere né alla maggioranza né all’opposizione, l’unica modalità per ripartire insieme. Dopo che il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il presidente di Confindustria hanno parlato di «nuovo contratto sociale tra politica, impresa e lavoratori». Dopo che Silvio Berlusconi ha detto ok a «un tavolo con tutti a sedere». Dopo che il premier Conte mercoledì ha annunciato gli Stati generali dell’economia dove «le migliori menti, le eccellenze oltre che i portatori d’interessi nei vari settori» potranno contribuire a progettare l’Italia post Covid e finanziata da circa 300 miliardi in arrivo da Bruxelles tra Recovery fund, Bei, Sure e Mes. Quello di Conte non è ancora un progetto. Non è neppure il libro dei sogni. È la lista delle cose da fare, bloccate da sempre dalla politica e che ora solo la politica può sbloccare per trasformare la crisi in occasione.

Conte ha riconosciuto agibilità politica a Italia viva sui suoi temi – cantieri, opere pubbliche, famiglia, sanatorie per stranieri lavoratori, giustizia invece di giustizialismo, riaperture, scuola – e questo ha certamente contribuito a stabilizzare la maggioranza. Ma chi non è stabilizzato è proprio Giuseppe Conte. Parlamentari di minoranza, e sotto traccia anche parecchi del Pd, indicano almeno tre circostanze in cui il premier, al quale viene riconosciuta “una resistenza da muro di gomma”, può rischiare di perdere lo scettro del comando. Il primo: «Bruxelles darà i fondi solo sulla base di progetti esecutivi, reali mentre noi siamo ancora alla convocazione degli Stati generali dell’economia. Francia o Spagna fanno gli Stati generali per decidere cosa fare?». Il secondo motivo è che Conte non riesca ad affrancarsi da un Movimento 5Stelle indebolito, senza più una vera guida né una linea politica. «Il premier deve spezzare adesso le catene del giustizialismo, del no alle grandi opere, alla semplificazione…» è la richiesta che non da oggi gli è stata recapitata. Al momento è un continuo baratto: via Autostrade, sì-forse al ponte sullo Stretto (che non piace ai 5Stelle); riforma dell’abuso di ufficio perché gli amministratori per non rischiare tengono tutto fermo e però più controlli antimafia.

La terza circostanza che può piegare Conte è quella più drastica: la crisi del lavoro e dell’economia. Ieri l’Istat ha registrato che causa Covid nel mese di aprile 274 mila persone hanno perso il lavoro a fronte di circa 700 mila che neppure lo cercano (inattivi). A settembre rischia di essere peggio. Anche perché la Fase 1 e la Fase 2 non hanno ancora portato quel sollievo di cash previsto per famiglie e piccoli imprenditori.
Il detonatore, infallibile, è già armato: i circa 300 miliardi (al netto del bazooka della Bce che ieri ha garantito la copertura nell’acquisto dei titoli fino al 2022) destinati a Roma. Sono tanti soldi, quanti nessun governo ne abbia mai visti. Li faranno gestire a Conte? Non a caso il premier ha rassicurato: «I fondi Ue non sono il tesoretto di cui potrà disporre il governo di turno». E subito dopo: «Dovremo saper spendere bene questi soldi». Il punto debole. E il punto di forza di Giuseppi.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.