La strana parabola di quisque de populo
Antropologia di Giuseppe Conte, primo ministro uscito da un sorteggio tra amici di amici
Perché gli italiani si rispecchiano nelle scarpe lustre di Giuseppe Conte? L’antropologia del Primo ministro, uscito da un sorteggio e da una catena di amici di altri amici, va decifrata guardando gli italiani, non lui, come il dito e la Luna. Lui funziona come una macchia di Rorschach, il test di figure senza senso in cui ciascuno vede quel che vuole, cioè se stesso. Così forse si spiega la fortuna di Conte che placa i rari turbamenti delle coscienze del nostro popolo. Inoltre, è una garanzia di giustizialismo e di trojan nei telefonini. Agli italiani piace che gli altri siano intercettati. Le intercettazioni ardono i potenti immaginari come fascine del rogo. Cultura del diritto? Non pervenuta. Che roba è?
Poi, la politica. La nostra società sembra averne abbastanza della politica, complicata come il bridge quando invece è più rilassante giocare a rubamazzetto o ad asso pigliatutto. Ricordate i grandiosi tempi dei grandi partiti con i congressi persino delle correnti? Le divisioni fra socialisti? Le evoluzioni e le crisi fra i comunisti? I dotti contorcimenti nella Dc? Persino la posizione intrigante dei missini di Giorgio Almirante? Ricordate De Mita passato alla storia come “intellettuale della Magna Grecia”, definizione di Gianni Agnelli? O il primo Berlusconi con i disperati tentativi di riformare la giustizia e il processo, gli scontri titanici tra i poteri blindati di quella magistratura e la politica di allora? Tutto finito.
Non solo la Terra è tornata piatta, ma l’orizzonte della politica è diventato puerile: il “Vaffa Day” lo capiscono tutti. I forconi, anche. Arrestateli tutti, è più facile. Sono tutti ladri, va sempre forte. E le Procure al potere reale sono consolanti come avere per portiere un secondino, con tutto il rispetto per i lavoratori del ramo. È anche facile cadere nel luogo comune e dire che gli italiani sono fatti così, e segue il barzellettaio delle furbizie e delle scorciatoie. L’aveva capito Leopardi nel suo reportage sul Carattere degli Italiani, l’aveva raccontato Manzoni con la Colonna infame, la peste e l’assalto ai forni; l’aveva testimoniato il vero Pinocchio di Collodi, disavventure di un povero ragazzo del popolo (un altro Renzo Tramaglino, ma col naso più lungo) e ci mettiamo anche la cinica confessione di Mussolini poco prima della fine, quando un giornalista americano gli chiese perché avesse inventato il fascismo: «Non l’ho creato io – disse spudoratamente – ma è nella natura degli italiani alla quale ho aggiunto solo la coreografia. Se fossi nato in Inghilterra sarei un Primo ministro laburista». Gran faccia tosta, ma tutti sappiamo che nel sangue italico circola questa voglia di farla finita con la politica, con le sofisticherie, con la cultura che se non è divisiva e problematica, che cultura è. Tutto dipende dalla natura umana ma, ci sembra, l’evoluzione politica e culturale si misura appunto nella distanza che il bipede Sapiens sa creare allontanandosi dalla natura.
Il Neolitico fu il più alto momento di evoluzione perché gli umani scoprirono i vantaggi dell’organizzazione dei compiti, delle norme, persino dei vizi e del quieto vivere. Ma il richiamo della caverna esiste sempre e l’Italia rappresentata dal governo Conte è cavernicola, benché in doppio petto. La nostalgia cavernicola si misura dal mancato funzionamento delle garanzie a tutela della singola persona unica e irripetibile che ha bisogno di essere protetta da chi rotea la clava. Qualcuno dirà: e che c’entra Conte, che è un uomo così pacato, elegante e ragionevole, così verboso e ovattato, così ipnotico per stanchezza indotta? È vero, Conte non appare come un energumeno. Ma, peggio, è una figura debole: è la nuova macchia di Rorschach in cui ognuno vede i suoi inconfessati istinti soddisfatti. Già, il fatto che uno sconosciuto sia arrivato al vertice di una liberal-democrazia solo perché conosceva qualcuno (Bonafede) che conosceva qualcun altro (Di Maio) che lo porta in gita sul Colle per fargli apprezzare il panorama, è un evento unico nella storia delle democrazie di tutti i tempi.
Il fatto poi che lo abbia saputo incarnare senza fare una piega e neanche un plissé, e persino guidare due diverse maggioranze espresse dallo stesso Parlamento, una di estrema destra e una di estrema sinistra, agiterebbe qualsiasi mente normal-democratica. Però, avete visto, funziona: piace al grillismo stradaiolo, ma anche agli eredi del Pci che non si sa che cosa vedono in lui, ma ci stanno pensando. La destra a tre punte separate di Salvini, Berlusconi e Meloni, non lo considera un ingombro da rimuovere ma un governo con cui trattare nella fase della ricostruzione. Dunque, allo stato dell’arte di questo maledetto 2020, il soggetto piace per tautologia, come nell’antico sketch di Vianello e Tognazzi al tempo della TV in bianco e nero, basato sulla ripetizione di due sole battute: «Tu che ne dici?», «Io dico che piace». A ripetizione. Così la pigrizia ha preso il posto del tessuto interstiziale della cultura, mentre il livello della pubblica istruzione si è adattato ai livelli sempre più banali e mediocri, sostenuta rigorosamente – la pigrizia – da esibizioni di ignoranza crassa da parte di conduttori televisivi e di telegiornali. Al popolo viene somministrata quasi quotidianamente una predica papale, una presidenziale e una conferenza stampa di Giuseppe Conte, come elisir anestetico.
La Giustizia più desiderabile? Manette a manetta. I detenuti non sono esseri umani, ma neanche gli indagati o i sospettati, anche in via ipotetica. Chi, poi, debba essere sospettato, lo decidiamo noi e voi lo saprete attraverso la pubblicazione pilotata di frammenti di intercettazione che scegliamo noi. Stampa e commentatori, come l’intendence di Napoleone, seguiranno. Anzi, ormai precedono. L’Italia del 2020, breve memo per gli analisti del futuro, era un Paese intorpidito e abituato alla pappa fatta, politicamente parlando. La questione dei diritti civili, per fare un esempio, può andare benissimo se si parla dell’America, ma non di fatti nostri. Decade, di conseguenza, l’uso dei verbi e dei tempi complessi. Non è che Conte ignori il congiuntivo. Gli si è atrofizzato il pensiero ipotetico. Il linguaggio collettivo unificato, nel frattempo, è cresciuto nel tono piagnone e omicida, ma con tanta solidarietà ecosostenibile. Bonificato il campo delle questioni di principio abbandonate come iscrizioni egizie, Conte appare perfetto: loquace senza dire nulla che non abbia già detto, fornisce indicazioni stradali per la scorciatoia. Il Covid-19 con l’infusione televisiva del Primo ministro usato anche come salvaschermo nei telegiornali ha sigillato il sarcofago della democrazia liberale, tanto che la mummia sembra che stia benissimo. Dal vetro, sembra quasi viva.
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