L'intervento
Il premier Conte positivo al virus autoritario
Un pasticcio dopo l’altro. Non c’è probabilmente modo migliore per sintetizzare l’azione di Governo di Giuseppe Conte. Si, perché sembra un’azione di governo in solitaria, nelle lunghe e verbose comunicazioni alla Nazione, così come nelle quotidiane interviste, a Codogno come a Genova, ormai il Presidente del Consiglio parla in prima persona e afferma esplicitamente che la responsabilità politica delle scelte, di tutte le scelte dell’emergenza, è sua e solo sua. Da più parti, ormai esplicitamente, si ammette che i Dpcm emanati dal Presidente del Consiglio siano tutti incostituzionali. L’abbiamo sostenuto fin dall’inizio, sulle pagine di questo giornale esattamente un mese fa, poi molto più autorevolmente lo hanno affermato il Prof. Gaetano Silvestri, il Prof. Antonio Baldassarre, il Dott. Cesare Mirabelli, tutti presidenti emeriti della Corte Costituzionale e la Prof.ssa Marta Cartabia, attuale Presidente della Consulta. Tali pareri basterebbero a convincere anche il più presuntuoso e agguerrito sostenitore della tesi opposta ma evidentemente non convincono Giuseppe Conte, che continua a decretare in solitaria, senza nemmeno coinvolgere i ministri del suo governo.
Il Parlamento è ormai completamente esautorato, la dialettica politica tra le varie forze di maggioranza e minoranza annullata, ma come siamo arrivati a questo? In principio, fu la Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, con la quale è stato dichiarato lo stato di emergenza nazionale in conseguenza del rischio sanitario connesso alla diffusione del Covid-19, per la durata di sei mesi. In verità, in tale delibera non si fa alcun cenno agli ormai tristemente celebri Dpcm, anzi si individua nell’Ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile, lo strumento più idoneo a fronteggiare l’emergenza ed infatti i primi interventi emergenziali sono stati adottati proprio con quello strumento, il 3 febbraio 2020.
La svolta c’è stata con il Decreto Legge 23 febbraio 2020, n.6, che ha attribuito al Presidente del Consiglio il potere di emanare decreti per adottare “Misure urgenti per evitare la diffusione del Covid-19”. Quel decreto legge venne convertito in legge il 5 marzo, con gran premura, tra gli applausi della maggioranza e dell’opposizione. Nella votazione finale al Senato, nessun voto contrario e solo cinque astenuti, tra i quali Emma Bonino, alla quale va ascritto il merito di un intervento esplicitamente critico. Dal 23 febbraio a oggi il nostro presidente del Consiglio ha emanato oltre una decina di Dpcm, gran parte presentati in dirette social e tv, ben prima della loro effettiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. In pratica, il Parlamento si è limitato fino ad ora alla discussione sui quattro decreti legge adottati dal Governo a partire dal 23 febbraio ma non è stato messo nelle condizioni di vagliare i decreti che Giuseppe Conte ha emanato in solitaria. I Dpcm sono infatti atti amministrativi, che non necessitano della ratifica del Parlamento e verrebbe da pensare che sono stati scelti proprio per questo motivo.
Abbiamo assistito inermi alla introduzione surrettizia nel nostro Ordinamento di un “diritto speciale per lo stato di eccezione”, determinato proprio dai decreti del presidente del Consiglio. Un “diritto speciale” che ha limitato, come mai nella storia dell’Italia unita, diritti fondamentali della persona, dalla libertà di circolazione e di soggiorno (art. 16 Cost.), alla libertà di riunione (art. 17 Cost.), dalla libertà religiosa (art. 19 Cost.), al diritto all’istruzione (art. 34 Cost.) e alla libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.). Tutto questo in nome della presunta salvaguardia del diritto alla salute (art. 32 Cost.). Si dirà che si è praticato un bilanciamento tra diritti costituzionali ma questo bilanciamento, così come operato, è legittimo?
In verità, non è consentito fornire una risposta a questo interrogativo, non perché non sia astrattamente possibile effettuare un bilanciamento tra diversi -e in ipotesi “contrastanti”- diritti costituzionali, bensì perché il Governo tiene celati i presupposti di fatto sui quali i vari Dpcm sono stati emanati. Il presidente del Consiglio, infatti, non ha reso noti i vari verbali dei comitati scientifici utilizzati a supporto dell’azione di governo, in questa fase emergenziale.
Eppure la trasparenza è il principio fondamentale dell’esercizio della funzione amministrativa, manifestazione del principio di imparzialità e buon andamento contenuto nell’articolo 97 della Costituzione.
I Dpcm, come detto, sono a tutti gli effetti atti amministrativi e come tali devono garantire la trasparenza e l’accessibilità da parte dei cittadini di tutti i documenti posti a sostegno dell’attività amministrativa. Senza trasparenza, gli atti amministrativi sono illegittimi, nulli ed arbitrari. È questo, in sintesi, il nuovo “diritto speciale per lo stato di emergenza”, sul quale i più importanti costituzionalisti italiani nutrono preoccupanti dubbi di costituzionalità. La nostra Costituzione, infatti, non prevede alcun “diritto speciale”, con attribuzione di tali poteri in capo al Presidente del Consiglio dei ministri. L’emergenza sanitaria non può essere considerata alla stregua dello stato di guerra e, in questo ambito, non sono consentite interpretazioni estensive delle norme costituzionali.
Occorre segnalare però che la delegittimazione del Parlamento trova avvio ben prima dell’emergenza Covid-19, da ultimo, un significativo colpo gli è stato inflitto con l’approvazione della legge Costituzionale che prevede la riduzione del numero dei parlamentari, per la quale il referendum già indetto per il 29 marzo scorso è stato rinviato a data da destinarsi.
Il parlamentarismo ha subito attacchi da destra e da sinistra e giunge curioso ed inatteso il recente appello di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, a coinvolgere maggiormente il Parlamento nella gestione della Fase 2 della crisi. Fratelli d’Italia, con il Movimento Cinque Stelle, è tra i partiti che più nettamente si sono schierati per la riduzione del numero dei parlamentari. Ben venga, quindi, l’appello di Giorgia Meloni a mettere di nuovo il Parlamento al centro della scena politica, stupisce che non l’abbiano fatto prima le forze più moderate, quelle che si dovrebbero richiamare ai principi liberali della nostra democrazia. C’è ancora tempo per farlo, ma lo facciano in fretta e convintamente.
Non facciamoci fuorviare dal fatto che il Parlamento sia oggi formato in gran parte da miracolati del click, perché resta comunque il più alto strumento attraverso il quale il popolo esercita la propria sovranità, il migliore vaccino contro il virus di ogni deriva autoritaria.
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