L'intervista
Intervista al costituzionalista Massimo Villone: “I governatori volevano vincere senza una sfida politica”
“Pur di trarre vantaggio dalla visibilità assicurata loro dalla pandemia, i governatori hanno spinto perché le elezioni regionali si svolgessero a luglio senza tener conto dell’interesse generale”: non usa messi termini Massimo Villone, senatore per quattro legislature ed emerito di Diritto costituzionale presso l’università Federico II.
Senatore, le richieste dei governatori sono da irresponsabili?
“Hanno tentato di capitalizzare visibilità e consenso derivanti dall’emergenza Coronavirus. Prenda il caso di Zaia. In Veneto lo vorrebbero santo subito. Non sono un suo estimatore, ma ammetto che in diverse circostanze si è ben destreggiato. Ecco, le elezioni durante l’estate lo avrebbero reso praticamente inarrestabile nella corsa alla conferma alla guida del Veneto. In questo modo, però, non si sarebbe tenuto conto dell’interesse generale”.
Sotto quale profilo?
“Se si fosse votato d’estate, la campagna elettorale avrebbe dovuto prendere il via subito. E, visto il divieto di assembramenti disposto dal governo per limitare la diffusione del Covid-19, si sarebbe dovuta svolgere online. Ma l’Italia è caratterizzata da un forte digital divide non solo tra Nord e Sud, ma anche all’interno di ciascuna regione. Con la conseguenza che si sarebbe trattato di una campagna elettorale ‘a macchia di leopardo’, durante la quale non tutti i cittadini sarebbero stati raggiunti dai messaggi dei candidati. in più, si sarebbe dovuto rinunciare a comizi, incontri e discussioni che rappresentano indispensabili momenti di confronto. La politica non si può ridurre a un post su Facebook”.
Proprio attraverso i suoi interventi su Facebook, il governatore campano De Luca ha costruito parte della sua immagine di ‘uomo forte’ da tanti apprezzata soprattutto in questa fase di emergenza: un modello vincente?
“Il modello De Luca funziona perché parte del corpo elettorale si sente tutelata e, di conseguenza, apprezza l’uomo forte soprattutto nelle fasi emergenziali. Nel caso in cui dovesse offrire risultati troppo modesti, però, quello stesso modello rischierebbe di naufragare. In altre parole, se De Luca non dovesse riuscire ad assicurare un effettivo miglioramento della sanità campana, il suo modello andrebbe incontro a un inevitabile fallimento”.
La competenza regionale in materia sanitaria ha agevolato la guerra al Coronavirus oppure ha alimentato il caos?
“Il problema non risiede nella competenza concorrente tra Stato e Regioni che la Costituzione prevede per la sanità, ma nel fatto che lo Stato si sia rivelato incapace di assicurare un preciso quadro generale di riferimento. Per anni è stato smantellato il servizio sanitario nazionale che era pensato per garantire unità al diritto alla salute dei cittadini. Si è preferito puntare su servizi sanitari locali ai quali non sono state garantite nemmeno le risorse economiche necessarie. A ciò si aggiunge la sempre più massiccia presenza dei privati che, oltre a non avere i mezzi per fronteggiare le emergenze, pensano esclusivamente al profitto. Le attuali condizioni della Lombardia sono il risultato della mancanza di una politica sanitaria nazionale”.
È mancato anche il ruolo di coordinamento del governo centrale?
“Il governo centrale avrebbe potuto fare di più e meglio. Invece ha messo in campo un’infinità di consulenti e commissari che non sono riusciti a evitare che le Regioni affrontassero l’emergenza sanitaria procedendo in ordine sparso. Il risultato è una serie di ‘repubblichette’ che fanno ciò che vogliono in violazione della Costituzione”.
Perché, secondo lei?
“Questione di debolezza politica. In Italia i potentati locali contano moltissimo e sono capaci di tenere in ostaggio anche il governo centrale. Anche per la cosiddetta fase 2 c’è il rischio che le Regioni più forti dal punto di vista politico ed economico, cioè quelle del Nord, guidino il processo di ripresa a discapito dei territori del Sud”.
Come si può evitare?
“Se si pretende di risolvere la partita nelle stanze del governo, le lobbies economiche e politiche avranno la meglio. Bisogna discuterne in Parlamento, dove il peso dei gruppi di pressione può essere contenuto. Se fossi stato ancora in Senato, avrei chiesto a gran voce una seduta permanente del Parlamento. Ed è grave che i miei colleghi non l’abbiano fatto, contribuendo così a marginalizzare Camera e Senato”.
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