Sotto l’occhio del ciclone c’è soprattutto il Pio Alberto Trivulzio di Milano, il primo a finire sotto inchiesta. Ma in tutta Italia le case di riposo per anziani e le Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) sono al centro delle polemiche perché tra le più colpite dal contagio. Una generazione se ne è andata via, spesso in silenzio, da sola, senza che figli, nipoti, amici potessero dirle addio. Sono storie terribili, storie che spezzano il cuore ma, come spesso accade in Italia, quando non si riesce a capire come siano potute accadere, ci si affida all’intervento della magistratura.

Ha detto bene, in un’intervista al Foglio, Luciano Violante: «Quando la politica smette di reggere il timone del Paese, il giudiziario diventa potere sovraordinato». Ma il meccanismo va oltre, e investe tutta la società nel bisogno della ricerca di un reo, di un untore, di qualcuno da mandare in galera e poi chiudere la porta su una realtà, quella della assistenza agli anziani, che questa volta però pretende di essere ascoltata. Facciamo allora un passo indietro, prima delle inchieste, prima della voglia matta di alcuni giornali di riproporre una Tangentopoli2. Le morti non sono avvenute in una sola struttura ma riguardano Rsa distribuite su tutto il territorio: o quindi pensiamo, in qualche modo confortandoci, che per uno strano caso del destino gli operatori che lavorano in questi centri di assistenza siano tutti delinquenti incalliti, oppure cerchiamo di capire il vero motivo che ha fatto diventare questi luoghi le tombe dei nostri anziani.

La domanda è: i governi locali, ma soprattutto il governo centrale, a cui spetta la gestione dell’emergenza, hanno diramato in tempo le regole da seguire? E poi hanno fatto di tutto per monitorare e controllare che le norme venissero applicate? Insomma non si poteva fare “l’inchiesta” prima che gli anziani morissero a grappoli, prima che le regole minime non venissero rispettate? La sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa, intervistata da Radio Capital (in una dichiarazione riportata ieri da Repubblica) ha parlato di una circolare del ministero di fine febbraio: «Di certo – ha detto la sottosegretaria – le disposizioni che erano state date a tutti con una circolare prevedevano, non soltanto per la Lombardia, ma per tutte le Rsa, che non entrassero dall’esterno possibili soggetti contagiati e quindi possibili diffusori del virus».

Altre circolari sono arrivate dai governi locali, con tempi diversi da regione a regione, la cui tempestività e la validità va verificata. Le storie che abbiamo sentito in questi giorni non parlano però solo del rapporto con l’esterno (il divieto di entrare di cui parla Zampa) ma di strutture non adeguate, di mancanza di personale o di personale non equipaggiato con mascherine e guanti. Eppure era evidente che il “tutti a casa” lanciato dal governo, non metteva al sicuro i soggetti più fragili, tra cui le donne maltrattate dai mariti, i carcerati e gli anziani, rimasti soli in casa oppure ricoverati nelle Rsa o nelle case di riposo. Ci voleva un piano più dettagliato per loro, una cura che non abbiamo avuto e che oggi ci porta a contare 2500 morti ufficiali: una stima per difetto.

Gli anziani morti per covid-19 potrebbero essere addirittura il doppio, considerato che molte sono morti sospette perché non è stato fatto il tampone. Ma non ci sono solo questi numeri terribili. Gli anziani, nell’emergenza, hanno pagato un prezzo molto, troppo alto. Chiusi in casa o nelle strutture sotto accusa, hanno dovuto fronteggiare solitudine, paura, malattie di altro tipo. La salute fisica non è stata preservata ma non è stata messa al sicuro neanche l’integrità psichica. Questi aspetti forse non emergeranno dalle inchieste e sicuramente non hanno una valenza penale. Ma meritano una risposta. Una risposta politica.

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