Da alcuni giorni gira sul web l’immagine che, in forma piramidale, riassume le fonti del diritto ai tempi del Covid-19. Rispetto all’impostazione tradizionale che vuole al vertice la Costituzione seguita, in ordine, da trattati internazionali e fonti dell’Unione europea, leggi, atti e regolamenti amministrativi e prassi e consuetudini, oggi la piramide sembra essersi rovesciata. Al vertice troviamo le Faq, cioè le risposte che il Governo dà, sul proprio sito, alle domande formulate per chiarire i dubbi interpretativi sollevati dalle dichiarazioni rese in diretta televisiva in diretta dal Presidente del Consiglio, a loro volta dirette a chiarire il contenuto dei Decreti del Presidente del Consiglio che egli si appresta ad emanare sulla base di decreti legge ancora non convertiti (e che magari mai lo saranno perché abrogati prima della loro scadenza perché confluiti in altri decreti legge). Infine, le ordinanze regionali e comunali che, soffrendo tale inferiorità, talora ambiscono a porsi in cima alla piramide.

Questo profluvio di regole (il cui numero qualcuno si è anche divertito a quantificare) non è che la conseguenza dell’ardita pretesa di disciplinare, fin nel più minuzioso dettaglio, tutto ciò che è o non è consentito fare. Una fatica di Sisifo, perché pirandellianamente la realtà è sempre più complessa e sfuggente di quanto si possa prevedere. Una fatica, peraltro, frutto di un approccio sbagliato, sia perché mosso da una sostanziale sfiducia nei confronti del senso di responsabilità che, contro le più pessimistiche previsioni, la stragrande maggioranza dei cittadini ha dimostrato di avere, come i dati sulle sanzioni irrogate stanno a dimostrare; sia perché, esaurita la fase dell’immediata emergenza in cui taluni errori ed incertezze potevano ragionevolmente comprendersi, c’è stato tutto il tempo per preparare l’attuale fase di convivenza con il Covid-19.

Sotto questo profilo la scelta del Governo di avvalersi della consulenza di esperti, sicuramente indispensabile ai fini della emanazione di provvedimenti la cui ragionevolezza dipende anche da dati scientifici, pare invece censurabile laddove abbia escluso l’interlocuzione parlamentare che, per la sua sensibilità politica, avrebbe offerto osservazioni e rilievi che sarebbero certamente tornati utili per evitare taluni dubbi interpretativi, paradigmaticamente riassunti nella nota vicenda dei “congiunti”. Ma da ingenui giuristi, così ragionando ci sfugge che forse è proprio questo l’obiettivo perseguito dal Governo: ingenerare quella incertezza che induca l’opinione pubblica, nell’incertezza, a non fare ciò che forse potrebbe essere sanzionato anziché fare ciò che forse potrebbe essere permesso.

Intendiamoci: a nessuno devono sfuggire le obiettive difficoltà in cui il Governo si trova nell’affrontare una situazione totalmente inedita e di assoluta emergenza in cui è messo in pericolo il diritto alla salute (e con esso quella alla vita), non a caso l’unico che la Costituzione espressamente definisce “fondamentale”, destinato quindi a prevalere nel bilanciamento con gli altri diritti in suo nome limitati. Ciò però non può significare un’accettazione acritica e passiva di quanto viene progressivamente deciso, soprattutto quando l’intento di dare indicazioni di comportamento ai cittadini in nome della loro salute e sicurezza produce esattamente l’esito opposto attraverso modalità procedurali, peraltro, che esprimono un netto sbilanciamento dei poteri a favore del Governo che, ripetiamo, oggi pare senz’altro meno giustificabile rispetto al passato.

Non bisognerebbe mai dimenticare che, in una democrazia parlamentare dell’alternanza, quanto accaduto in questi giorni potrebbe un domani essere invocato come “cattivo” precedente magari per finalità non parimenti condivise e condivisibili. La strada da riprendere è quella piuttosto del ripristino di una leale e proficua collaborazione tra i poteri, sia in orizzontale (e principalmente tra Governo e Parlamento, in grado di riprendere la sua normale operatività), sia in verticale (tra Governo, regioni ed autonomie locali). L’approvazione da parte della Camera dei deputati dell’emendamento che consente di riaprire in sicurezza i luoghi di culto previa intesa con le confessioni religiose costituisce la più evidente riprova di come dalla interlocuzione con il Parlamento il Governo abbia tutto da guadagnare per i preziosi contributi che esso può offrire ai fini di un più corretto bilanciamento tra i diritti e di una maggiore certezza del diritto.