Vladimir Putin non vuole né ammette passi falsi. La parata militare per celebrare gli 80 anni della vittoria dell’Unione Sovietica sulle forze del Terzo Reich deve essere perfetta. Uno sfoggio di potenza, ma anche un segnale di forza dal punto di vista diplomatico. Perché il presidente russo non vuole solo ricordare al suo popolo e agli altri capi di Stato e di governo di essere il leader indiscusso della Federazione Russa, ma anche che insieme a lui c’è un blocco. Un sistema di relazioni che è inevitabilmente una risposta (e una sfida) all’Unione europea e agli Stati Uniti. Insomma, all’Occidente.

La parata

La parata di oggi serve anche a questo, e gli ospiti d’onore parlano chiaro. Dall’Asia, sono attesi i leader di Vietnam, Birmania, Mongolia, rappresentanti della Corea del Nord e di tutti i Paesi che un tempo erano parte del blocco sovietico, dall’Armenia a tutti gli “stan” dell’Asia centrale. Dall’America Latina, territorio che da tempo ha forti legami con la Russia, sono arrivati il presidente venezuelano Nicolas Maduro, quello del Brasile, Inacio Lula da Silva, e il leader di Cuba, Miguel Diaz-Canel. Dal Medio Oriente, Mosca ha invitato anche il leader dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas. Israele dovrebbe essere presente tramite l’ambasciatrice Simona Halperin. E ieri è sbarcato alla corte dello “zar” anche il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi. Presente anche qualche leader africano, tra cui il presidente dell’Etiopia Taye Atskeselassie, come scontata è la partecipazione del bielorusso Aleksander Lukashenko, una sorta di vassallo del Cremlino.

Xi e Putin

Ma i capi di Stato che contano davvero per Putin in quest’occasione sono quantomeno tre. Il primo (e vero ospite d’onore della parata sulla Piazza Rossa) è il presidente cinese Xi Jinping, che ha sfruttato la celebrazione dell’anniversario della vittoria per una visita di Stato di quattro giorni. L’obiettivo del leader cinese è quello di blindare l’asse con il Cremlino in questa fase di tensioni con gli Stati Uniti di Donald Trump. E ieri, alla vigilia della festa, sono arrivati segnali chiari dal vertice con Putin. Oltre alla firma di nuovi accordi sugli investimenti tra i due Paesi (“più di venti documenti di cooperazione bilaterale” ha scritto l’agenzia Xinhua), entrambi i leader hanno firmato un documento congiunto per un “ulteriore approfondimento della partnership strategica di coordinamento per la nuova era”. E se Xi ha definito i colloqui di tre ore e mezza avuti con Putin come “approfonditi, amichevoli e proficui”, Putin ha ribadito che le relazioni tra Cina e Russia “hanno raggiunto il livello più alto della storia”. Lo stesso capo del Cremlino ha aggiunto che entrambi i Paesi “perseguono politiche estere indipendenti e autonome e sono interessati a formare un ordine mondiale multipolare più giusto e democratico”. L’asse tra Mosca e Pechino è dunque saldo.

Le reazioni

E mentre si tratta per il raddoppio del gasdotto Power of Siberia, è proprio dalle rotte del gas che si può comprendere l’importanza della presenza di altri due leader oggi a Mosca: il primo ministro slovacco Robert Fico e il presidente serbo Aleksander Vucic. Per Belgrado è fondamentale l’apporto energetico russo e non a caso già a marzo si parlava di estendere il contratto per ricevere il gas da Mosca evitando le sanzioni Usa. E lo stesso vale per Bratislava, che però è anche un Paese dell’Unione europea. Fico è uno dei più accaniti oppositori del piano della Commissione Ue per bloccare tutte le importazioni di energia dalla Russia. E in questa battaglia ha trovato subito un alleato: il premier unghere Viktor Orbán. “Robert Fico ha ragione. La proposta della presidente Ursula von der Leyen manderà in bancarotta l’Europa e imporrà un peso insostenibile alle famiglie dell’Europa centrale. Non permetteremo a Bruxelles di far pagare alle famiglie ungheresi il prezzo dell’adesione dell’Ucraina all’Ue!” ha scritto su X il leader magiaro. Sul dossier energetico, si rischia un nuovo scontro nel Vecchio Continente.