Un primato del quale non andare fieri
A Poggioreale il detenuto più vecchio d’Italia: il dramma di Giovanni, in cella a 85 anni
Ma come c’è finito in carcere Giovanni? Aveva un residuo di pena per il reato di maltrattamenti in famiglia. Per qualche motivo la detenzione in carcere è stata preferita a quella alternativa, come avrebbe potuto essere quella domiciliare, e si è generata l’aberrazione. Sì, perché se il carcere, tra i suoi principi, ha anche quello di una funzione rieducativa e di recupero, resta un mistero come un soggetto che non è in grado di intendere e di volere possa essere recuperato o rieducato. Soprattutto se ha 85 anni. Giovanni è in carcere da circa quattro mesi senza ricevere visite né telefonate. Abbandonato a se stesso.
Il caso di Giovanni, tuttavia, è solo la punta di un iceberg. Il problema dei reclusi anziani e con problemi psichici era stato sollevato anche dal garante cittadino Pietro Ioia che nel suo report annuale sottolinea quelle che erano e sono le criticità del sistema penitenziario. «In carcere ci sono centinaia di detenuti con patologie pregresse, ci sono anziani e malati gravi – aveva spiegato Ioia in occasione della presentazione del report annuale – Ogni volta che li incontro mi ripetono le stesse cose e i familiari mi fanno le stesse segnalazioni sulla sanità penitenziaria». Certo, sulla carta le cose dovrebbero essere diverse. Risale allo scorso aprile la decisione della Consulta che, di fatto, ha escluso la detenzione in cella per gli ultrasettantenni. Tutto ruota attorno all’articolo 27 della Costituzione che sancisce il principio di umanità della pena. Un principio su cui, secondo la Corte Costituzionale, la Sorveglianza dovrà esprimersi valutando caso per caso. Sul piatto della bilancia, tra le altre cose da valutare, c’è l’eventuale pericolosità sociale del soggetto. Giusto, per carità.
La norma presume una diminuzione della pericolosità sociale del condannato avanti con gli anni e quindi la Corte Costituzionale stabilisce che la misura detentiva alternativa possa essere adeguata perché il «carico di sofferenza associato alla permanenza in carcere cresce con l’avanzare dell’età e con il conseguente sempre maggiore bisogno, da parte del condannato, di cura e assistenza personalizzate che difficilmente gli possono essere assicurate in un contesto intramurario, caratterizzato dalla forzata convivenza con un gran numero di altri detenuti di ogni età». Principi da una parte, realtà dall’altra. Nel mezzo la vita-non vita di Giovanni che, a 85 anni, è costretto a scontare la sua pena nel padiglione Firenze del carcere di Poggioreale.
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