A 83 anni si muove sedia a rotelle, ha il catetere e non è autonomo. Soffre di demenza senile, ha un principio di Alzheimer, soffre di apnee notturne, è cardiopatico e diabetico. Eppure Giovanni Marandino deve marcire a Poggioreale. L’ha stabilito il gip di Salerno che lo ritiene perno di un presunto giro di usura. E poco importa che l’età avanzata e le varie patologie espongano Marandino al rischio di contrarre il Covid all’interno di quello che resta il carcere più affollato d’Europa, dove al momento si contano 16 detenuti malati: una vicenda paradossale che ha spinto il garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello a invocare l’applicazione di misure adeguate allo stato di salute di Marandino e il garante napoletano Pietro Ioia a invocare l’intervento della guardasigilli Marta Cartabia.

Marandino è uno degli oltre 3mila detenuti in attesa di giudizio che ingolfano le celle campane. Coinvolto in un’inchiesta insieme con il figlio 39enne, la moglie e un’altra persona in un’inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Salerno, l’anziano era sottoposto all’obbligo di dimora nel Comune di Capaccio Paestum. In casa viveva allettato, viste le condizioni di salute ormai compromesse. Un supplizio sufficiente per chiunque, ma non per il gip che ha pensato bene di strapparlo dal suo appartamento e di spedirlo in una cella del carcere di Poggioreale ritenendo troppo forte il pericolo di reiterazione del reato.

E così, il 3 febbraio scorso, Ninuccio è stato trasferito in prigione a bordo di un’ambulanza; il 22 ha accusato un malore che ne ha reso necessario il ricovero in ospedale, dopodiché è tornato in cella. E l’articolo 27 della Costituzione, che vieta trattamenti disumani o degradanti nei confronti dei detenuti? E l’allarme per la terza ondata di Covid nelle carceri della Campania? Poco importano, evidentemente. Per il magistrato Marandino deve rimanere a Poggioreale, dove al 27 gennaio si contavano 2.036 detenuti a fronte di 1.571 posti regolamentari, dove mesi fa ha destato clamore il caso di una cella nella quale erano rinchiuse ben 14 persone e dove i contagi da Covid sono schizzati da zero a 18 (poi ridottisi a 16 nelle scorse ore) in poche settimane.

Senza dimenticare un altro dato: i detenuti in attesa di giudizio, in Campania, si aggirano approssimativamente intorno alle 3mila unità, pari a circa il 45% della popolazione carceraria. Tutte queste considerazioni non hanno scalfito le convinzioni del gip, deciso a tenere Marandino in carcere fino all’ultimo, proprio come accaduto per Raffaele Cutolo. In passato l’84enne è stato riconosciuto come affiliato alla Nco, l’organizzazione malavitosa fondata dal boss recentemente scomparso. Ora sembra che i destini dei due tornino a incrociarsi. Il 79enne Cutolo, infatti, è morto la settimana scorsa a Parma, dove da decenni scontava il carcere duro, dopo che il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva rigettato per l’ennesima volta l’istanza di arresti domiciliari motivata dalle pessime condizioni di salute del boss.

L’ex leader della Nco pesava 40 chili, era ridotto a larva umana, e alla fine gli è stata fatale una polmonite associata a una setticemia del cavo orale. Ora la questione si ripropone con Marandino, spedito in galera proprio nel momento in cui si riaccende il dibattito sulla necessità di forme di detenzione più umane. E nelle condizioni di Cutolo e Marandino ci sono centinaia di altri detenuti, anziani e malati, il cui diritto alla salute sembra contare poco o nulla. «Eppure è la Costituzione a sancire e tutelare quel diritto – osserva Samuele Ciambriello – che vale non solo per i detenuti ma per ogni membro della collettività, inclusi i politici e i giornalisti giustizialisti che disconoscono sistematicamente le norme relative a carcere e salute».

Secondo il garante regionale dei reclusi, che ogni giorno monitora le condizioni di Marandino tenendosi in contatto con la direzione sanitaria di Poggioreale, all’84enne «va applicata una misura restrittiva che tenga conto delle sue condizioni di salute, pur nel pieno rispetto delle esigenze di giustizia e di accertamento della verità da parte dell’autorità giudiziaria». Dal garante napoletano Pietro Ioia, invece, un appello alla neo-guardasigilli Marta Cartabia: «Non ho mai visto un detenuto nelle condizioni di Marandino, ormai ridotto a larva umana: la supplico, ministra, faccia qualcosa».