Quando la moglie Immacolata Iacone e la figlia Denise sono andati a trovarlo nei sette mesi di ricovero all’ospedale di Parma, Raffaele Cutolo non poteva essere nemmeno toccato.

“Non poteva sentire il calore della sua famiglia neanche in punto di morte. Gli incontri erano presidiati dagli agenti penitenziari e tra l’ex boss allettato e le sue due donne c’erano delle sedie per impedire qualsiasi tipo di contatto”. A parlare al Riformista è Gaetano Aufiero, avvocato storico, insieme al collega Paolo Trofino, dell’ex capo e fondatore della Nuova Camorra Organizzata morto nella serata del 17 febbraio all’età di 79 anni di cui ben 57 trascorsi dietro le sbarre e gli ultimi 25 al carcere duro.

Cutolo era malato da tempo ma nonostante le denunce di legali e familiari non è cambiato nulla. Era il detenuto al 41bis più anziano. Ristretto nel carcere di massima sicurezza di Parma, è morto per le complicazioni legate ad una polmonite bilaterale a cui si è associata una setticemia del cavo orale.

Cutolo è morto anche per Covid?
“Questo non lo so, ho parlato solo con la polizia penitenziaria ma conoscendo la serietà e la grande umanità dei medici dell’ospedale di Parma non metto in dubbio quello che è emerso. Sicuramente è morto col 41bis”.

Le sue condizioni si sono aggravate nell’ultimo mese, nessun familiare è riuscito a vederlo?
“Cutolo è morto da solo in ospedale senza potere avere la moglie e la figlia vicino: nessun colloquio straordinario è stato autorizzato in questi mesi. Li avevo chiesti da luglio ma le istanze, che dovevano essere autorizzate direttamente dal ministro della Giustizia Bonafede, non sono mai state prese in considerazione”.

Moglie e figlia quando l’hanno visto l’ultima volta?
“Una ventina di giorni fa, a metà gennaio. Lui in quella occasione ha riconosciuto solo la figlia ma non riusciva a interloquire con lei”.

Lei invece?
“A fine agosto, credo il 30 o il 31, e non mi riconobbe. Pesava intorno ai 40 chili, secondo la moglie anche di meno. Poi non sono più andato a trovarlo perché francamente era inutile”.

Cosa ha pensato lo scorso ottobre quando il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto, a un anno esatto dalla presentazione, l’ultima istanza contro 41bis?
“Invocai rispetto dopo la sentenza della Corte Europea dei diritti umani che condannò l’Italia perché decise di continuare ad applicare il regime di carcere duro a Bernardo Provenzano. I giudici nelle motivazioni dissero che Cutolo non poteva essere paragonato al boss siciliano perché quest’ultimo era un vegetale… Commentate voi”.

Cosa può insegnare questo accanimento contro un boss sanguinario che resta pur sempre un essere umano?
“Non insegna nulla, mai vista una barbarie del genere, non capisco magistrati e politici inermi di fronte a tanta inciviltà e brutalità. Come si fa a tenere al 41bis un uomo che non sapeva nemmeno in che giorno dell’anno vivesse, in che città si trovasse. Una visone distorta della giustizia e della legge”.

Perché non c’è mai stata alcuna apertura?
“Togliere il 41bis a Cutolo equivaleva ammainare bandiera anticamorra. Invece la lotta alla camorra deve andare avanti a prescindere, ma anche la dignità di una persona, e quindi un detenuto, va rispettata. Lui è stato per 40 anni in isolamento. Ci rendiamo conto?”.

Lei ha presentato istanza contro il 41bis solo negli ultimi anni. Come mai?
“Cutolo non chiedeva sconti, non si aspettava nulla. Nessun vittimismo, nessuna pietas, chiedeva solo di poter vedere la figlia anche dopo i 12 anni d’età. Fino a quando era ancora lucido, e stiamo parlando di tre-quattro anni fa, ho rispettato questa sua volontà. Ma nell’ultimo periodo ho impugnato il carcere perché non era umano quel regime: lui da solo non riusciva a fare più niente. Non parlava, non mangiava, non riconosceva le persone”.

Da quanto tempo era in ospedale?
“Da giugno. La moglie e la figlia quella volta al mese che gli facevano visita non potevano toccarlo, non potevano dargli la mano. Tra loro e Cutolo c’erano sedie utilizzate come divisori”.

Cosa pensa del 41bis?
“Che è disumano, ci sono alcune norme surreali. Cutolo viveva in una cella di 4-5 metri quadri. L’ora d’aria non la faceva perché che senso ha camminare in un corridoio lungo e stretto con pareti altissime? Nemmeno la sua raccolta di poesie, pubblicata qualche tempo fa, poteva avere. Quando andai ad aprile 2019 a fargli visita non era autorizzata la consegna. Ci rendiamo conto?”.

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Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.