Gli odiatori seriali nel mondo
Accuso chi paragona Israele ai nazisti e semina antisemitismo, nessuno (per fortuna) attacca all’estero russi o palestinesi
L’odio diffuso contro Israele è il risultato di una martellante propaganda. Io accuso chi paragona lo Stato ebraico ai nazisti e incita all’intolleranza

La scorsa settimana a Washington D.C. due giovani funzionari dell’Ambasciata israeliana, Yaron Lischinsky e Sarah Milgrim, sono stati assassinati al grido di “Free Palestine”. Ma questo non è un gesto isolato. È il frutto avvelenato di un anno e mezzo di delegittimazione sistematica dello Stato ebraico e degli ebrei di tutto il mondo, a qualsiasi latitudine.
Io accuso. Accuso chi ha paragonato Israele ai nazisti. Accuso chi ha gridato al “genocidio” con leggerezza, ignorando il significato preciso e tragico di quel termine. Accuso chi ha usato parole come “coloni”, “occupanti”, “carnefici”, trasformando ogni ebreo in un bersaglio. Accuso chi oggi attribuisce la responsabilità degli atti antiebraici non agli aggressori ma alle vittime, dichiarando che la responsabilità è del governo Netanyahu (che ha certamente gravi responsabilità di altro tipo, ma è usato in questo caso come un pretesto).
È una dichiarazione infondata e gravissima. Come dire che un ebreo aggredito è responsabile del proprio attacco per ciò che accade in Medio Oriente. È una forma subdola e orrenda di antigiudaismo che mostra la bassezza di chi la pensa e la afferma. In nessun altro contesto mondiale si assiste a una simile distorsione morale: nessuno, per fortuna, inneggia alla violenza contro i russi che vivono all’estero a causa delle azioni di Putin, né contro i palestinesi per le atrocità del 7 ottobre. Non si sono visti attacchi a civili palestinesi a Parigi o Londra perché Hamas ha massacrato israeliani. Eppure, per gli ebrei, questo schema perverso continua a ripetersi.
Accuso chi condanna Israele in blocco e critica gli ebrei che non si dissociano, per poi tacere davanti al dramma degli ostaggi e davanti all’evidenza che perdere una guerra che si è causata non fa di chi la perde una vittima. Chi fa in tal modo non è un osservatore neutrale, ma è parte del problema. Accuso chi ci ha svuotati di umanità. Chi ha parlato di Israele senza conoscere gli ebrei. Chi non ha voluto capire cosa significhi oggi indossare una kippah ogni giorno nelle nostre strade, dove io e altri ci facciamo insultare e aggredire regolarmente da un anno e mezzo. Non sa cosa significhi temere per i propri figli nelle strade, nelle scuole, nelle università dei nostri Paesi occidentali.
Accuso coloro che hanno lasciato che si inneggiasse all’Intifada, che ora abbiamo visto a Washington e temo rivedremo altrove. Ogni volta che si è disumanizzato, si è legittimato. Ogni volta che si è giustificata l’azione “contro Israele”, si è data copertura morale a chi colpisce gli ebrei. Ognuno, nei bar di paese, sui social, nei salotti, nelle piazze, che ha soffiato su questo fuoco è moralmente complice di quanto è avvenuto e di quanto, purtroppo, potrebbe ancora avvenire. Perché l’antigiudaismo si riconosce sempre quando dà i suoi frutti. Mai mentre lo si sta seminando.
È tempo di assumersi la responsabilità. È tempo di fermare questa spirale di odio. Ma è anche tempo per gli ebrei di tutto il mondo di esigere una protezione adeguata, perché se dovessero invece proteggersi autonomamente, la responsabilità morale sarà di tutti coloro che lo avranno reso necessario. Ed è tempo di ricordare che ciò che colpisce gli ebrei oggi rischia di colpire più tardi tutto ciò per cui gli ebrei si battono da sempre: la giustizia, la libertà, la democrazia. Che la memoria di Sarah e Yaron possa essere di benedizione, e un giorno possano i loro cari trovare conforto.
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