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Al Pacino, non solo un gigante del cinema: Sonny boy, l’autobiografia del grandissimo attore protagonista del Padrino

«Andai alla prima del “Padrino” allo Loew’s State Theatre in Times Square indossando un papillon grande come la mia testa… Appena si spensero le luci uscii». Se si legge “Sonny boy“, l’autobiografia di Al Pacino, si sente la voce di Ferruccio Amendola o quella di Giancarlo Giannini: le frasi corte, le espressioni secche, i personaggi bislacchi. Sembra di stare in un film.
È un libro meraviglioso (La Nave di Teseo, traduzione di Alberto Pezzotta) e non solo per chi ama questo gigantesco attore che ha regalato interpretazioni memorabili, ma per chiunque voglia sbirciare nel pazzesco mondo del cinema americano con gli occhi del protagonista del “Padrino”, “Quel pomeriggio di un giorno da cani”, “Scarface”, “Scent of a woman”, “Donnie Brasco”, per dire alcuni titoli leggendari.
E poi c’è lui, Pacino, detto Sonny boy quando era un ragazzo piuttosto vivace nel South Bronx, con la sua forza e le sue fragilità. La sua anarchia, come scrive lui stesso. E ci sono New York e Hollywood, Marlon Brando che si pulisce le mani sporche di sugo sul lenzuolo, Bob De Niro «sempre premuroso», e Francis Ford Coppola, cioè il dio del “Padrino”, il film che cambiò la vita di Sonny boy con la grande interpretazione di Michael Corleone, il figlio di don Vito: «Il film era uscito da poco e continuavo a fare la mia solita vita. Un giorno a un semaforo incrociai lo sguardo di una ragazza carina con i capelli rossi accanto a me. “Ciao”, le dissi. E lei: “Ciao, Michael”. Dio mio, pensai». Grandissimo attore, grande persona.
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