L’idea di un Comitato Per Ambrogio Crespi è germogliata naturalmente, dall’attività di Nessuno Tocchi Caino, la notte del 9 marzo 2021, quando non si dormiva, per la condanna in Cassazione di Ambrogio Crespi, a 6 anni di reclusione per “concorso esterno in associazione mafiosa”. Il Comitato è nato dalla ferma convinzione che Ambrogio Crespi sia innocente. Al di fuori del processo, l’incompatibilità tra Ambrogio e il reato che gli viene attribuito è sancita dalla sua vita, dalle sue opere cinematografiche, dalla opinione di chi lo conosce persona per bene, sensibile, generoso, pacifico, contro ogni violenza e, ancor più, contro le violenze delle organizzazioni criminali, alle quali ha opposto la forza della sua arte, la sua ferma condanna, la sua lotta culturale a viso aperto, a rischio della sicurezza e della propria vita.

Ho conosciuto per primo, tra le opere di Ambrogio, il capolavoro artistico di Spes Contra Spem – Liberi Dentro, manifesto della lotta alla mafia, cominciamento di rivoluzione culturale e giuridica, che testimonia realisticamente, senza finzioni né sofisticazioni, il percorso di maturazione interiore e rieducazione al senso etico e sociale dei condannati al “fine pena mai” detenuti nel carcere di Opera. Un capolavoro artistico che ha contribuito senz’altro alla fioritura della sentenza Viola contro Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo, la sentenza che ha ribadito il divieto inderogabile di trattamenti inumani e degradanti e riconquistato ai condannati all’ergastolo senza speranza il diritto alla speranza. Qualche giorno fa, Gaetano Puzzangaro, uno dei protagonisti di Spes Contra Spem, ha incontrato la voce di Ambrogio, detenuto nello stesso carcere di Opera, in una cella nei pressi della sua.

Chissà quale tuffo al cuore, quale commozione a sentire l’uomo che si era piegato sulle sue sofferenze di detenuto senza speranza, riuscendo a farla emergere una speranza, nei lievi bagliori di bellezza che cominciavano a sbucare, come timidi fiori di campo, dalle “macerie della sua esistenza”. Così lui stesso ha definito la sua vita dopo l’omicidio del giudice beato Rosario Livatino, per il quale oggi prega e con il quale oggi parla. Chissà quale senso di separazione interiore a vedere uno Stato, l’Italia, che – dopo aver rinunciato, in nome dell’emergenza, alla dignità del condannato al carcere ostativo ed a valorizzarne i segni reali di cambiamento – incarcera un uomo che ha contribuito così fortemente a riabilitare la speranza nella risocializzazione sua e dei condannati come lui. Chissà cosa avrà provato Gaetano Puzzangaro a vedere uno Stato che cade nel gigantesco errore e misfatto di divenire Caino (come lo è stato lui del beato Livatino) di un innocente Abele, di processare e condannare Ambrogio Crespi. A vedere uno Stato eseguire una pena – che ai sensi della Costituzione dovrebbe essere volta alla riabilitazione – nei confronti di una persona come Ambrogio che ha riabilitato persone e non richiede di essere riabilitata.

Ho conosciuto l’uomo Ambrogio, la sera della pronuncia della Cassazione. Un uomo oppresso dal dolore ma che teneva alta la sua grande dignità e si diceva grato, infinitamente grato, per la solidarietà che riceveva in quel momento così drammatico. Ambrogio era incredulo, stupefatto, smarrito per la condanna ma bisognoso di voler capire, di sperare, di poter credere ancora nella giustizia: “…perché, perché?!…Non capisco perché!?”, continuava a chiedere con una voce rotta dal pianto, senza mai proferire parole di squalifica o sdegno verso i giudici, nonostante si sentisse ingiustamente offeso, tradito, pugnalato. La verità è che questa drammatica storia non riguarda solo Ambrogio e la sua famiglia ma ciascuno di noi: a ogni innocente può capitare lo stesso destino infausto. La condanna di Ambrogio è una ferita sociale – proprio come quella di “Enzo Tortora, una ferita italiana” – trasversale, che mina i principi del giusto processo e la certezza del diritto e può pericolosamente rompere la fiducia collettiva nelle istituzioni e nella giustizia. Insinuare una insicurezza sociale che smarrisce e paralizza.

Il Comitato per Ambrogio Crespi ha lo scopo di coltivare la speranza e ripristinare la verità. Di collaborare con Ambrogio, i suoi legali, la sua famiglia per far riemergere la sua innocenza, con tutti i mezzi possibili contemplati dall’ordinamento giuridico, per ottenere una pronuncia di assoluzione o la grazia del Presidente della Repubblica.
Ravvisa, per altro verso, la necessità di aprire un pacifico e approfondito dibattito collettivo che miri alle riforme della Giustizia strumentali a ripristinare in via più sostanziale lo stato di diritto, una giustizia più giusta, informata al senso di umanità, protesa al rispetto del valore universale della dignità umana. La necessità è posta dal senso di considerazione e tutela dei tanti Ambrogio Crespi che scontano condanne carcerarie in via preventiva o definitiva e che, sconosciuti ai più, non hanno alcun comitato che li sostenga, alcuna cassa di risonanza che faccia risuonare il silenzioso lamento di un innocente.