Due sono i messaggi di politica giudiziaria che si possono trarre dalla sentenza con cui la prima sezione della corte di cassazione ha confermato le condanne dell’ex assessore della Regione Lombardia Mimmo Zambetti e del regista Ambrogio Crespi. Il primo messaggio è una sorta di sigillo a un asse virtuale Boccassini-Gratteri, cioè la Milano-Catanzaro che giudica l’insediamento delle cosche calabresi al nord finalizzato a fare affari con la complicità di uomini delle istituzioni e della società civile. E questo è il secondo messaggio politico-giudiziario: l’uso del reato fluido, del reato che non c’è, l’uso del concorso esterno in associazione mafiosa, per colpire quella famosa zona grigia, il terzo livello politico cui non credeva Giovanni Falcone, cui non credono molti giuristi e in parte anche la stessa Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

Il processo nasce in Lombardia una decina di anni fa con l’arresto dell’assessore regionale Mimmo Zambetti, fatto che determinerà conseguenze politiche disastrose, con la Lega pronta a indossare gli abiti dell’antimafia e la caduta dell’ultima giunta di Roberto Formigoni. Le indagini della procura di Milano e della responsabile della Dda Ilda Boccassini, con l’uso abbondante di intercettazioni ambientali, punta a dimostrare che, attraverso il voto di scambio tra l’assessore Zambetti e alcuni personaggi ritenuti contigui ad ambienti calabresi “sospetti”, l’esponente del pdl avrebbe incrementato il proprio successo alle elezioni regionali del 2010 con 4.000 voti (degli 11.00 totali) comprati. Ambrogio Crespi lo avrebbe aiutato nella campagna elettorale. In che modo non si sa, visto che non risulta i due si siano mai incontrati né conosciuti. Prima di finire in galera.

La Dda alza subito di parecchio il tiro, mettendo insieme un banale pagamento in nero di rimborsi spesa a sostenitori elettorali, e un’altra inchiesta che riguardava detenzione di armi, sequestri di persona ed estorsioni. La mafia appiccicata alla campagna elettorale. Collegamenti artificiosi, come il coinvolgimento di Alfredo Celeste, sindaco del Comune di Sedriano, che diventerà il primo Comune lombardo sciolto per mafia. Peccato però che due anni dopo Celeste sia stato assolto con la formula più ampia (“perché il fatto non sussiste”) dall’accusa che aveva portato il ministro dell’interno Angelino Alfano a una decisione così drammatica.

Tutto l’impianto accusatorio di questo processo arrivato ormai alla sentenza di terzo grado è fondato su quei soldi, 30.000 euro e poi altri 20.000, che Zambetti avrebbe dato come rimborsi elettorali a persone che erano “contigue” ad altre. Soggetti che lo avevano anche minacciato a un certo punto, dicendo tra loro al telefono “lo abbiamo in pugno” e riducendolo in lacrime, terrorizzato dalla paura che qualcuno facesse del male ai suoi nipotini. Una vittima, altro che “esterno”! Certo, avrebbe dovuto andare a denunciare tutto dai carabinieri, come ha ricordato ieri nel suo blog Gianfranco Rotondi, suo vecchio amico, ammettendo anche la violazione della legge elettorale sui soldi. Mafioso? Esterno? Sette anni e sei mesi di carcere.

Per non parlare poi della posizione di Ambrogio Crespi, il cui nome viene fatto in alcune telefonate. E che è stato persino costretto a commissionare una ricerca al professor Roberto D’Alimonte per dimostrare come nel suo quartiere e nelle zone in cui lui era più conosciuto e avrebbe potuto fornire un aiuto elettorale, il risultato di Zambetti fosse stato proprio modesto. Un’indagine che forse sarebbe spettata alla magistratura, non all’imputato. Mafioso? Esterno? Sei anni di carcere. Incomprensibile verdetto, visto anche che il procuratore generale aveva chiesto l’annullamento del reato. Ma il concorso esterno in associazione mafiosa, cioè la fusione degli articoli 110 (concorso) e 416 bis (associazione a delinquere di stampo mafioso) è sempre più l’unico strumento a disposizione di chi non sa che pesci prendere nei confronti degli esponenti politici. Quelli di cui si sa che non sono mafiosi, come sicuramente non è e non è mai stato Mimmo Zambetti. Possiamo giurarlo, tutti noi che lo conosciamo. E lasciamo perdere Ambrogio Crespi, che in questa storia non c’entra proprio niente e che è giustamente difeso da tante persone che conoscono lui e la sua attività culturale. Due vittime dell’”esterno”.

È dal 1987, da una prima sentenza della Cassazione, che si è creato il reato fluido, il reato che non c’è. Chiamato a sostituire, con la forza del reato associativo, la vecchia accusa di favoreggiamento, inadatta per pestare con forza con intercettazioni e custodia cautelare. Ma da quel primo provvedimento, molte furono le sentenze della stessa cassazione che negavano si potesse applicare il concorso proprio ai reati associativi. Se è vero che nel 1994 la “sentenza Demitry” delle Sezioni Unite sembrerebbe aver messo la parola fine agli scettici, è altrettanto vero che non è facile dimostrare che l’indagato per concorso esterno in associazione mafiosa abbia dato “un concreto specifico consapevole e volontario contributo” alle cosche. Cioè bisogna prima di tutto avere la consapevolezza di trovarsi davanti a un mafioso. E poi ci vuole anche la certezza della volontà consapevole di aiutare l’attività della mafia. La strada è ancora lunga. Il caso Contrada e il caso Dell’Utri insegnano.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.