Il dialogo telefonico fra Trump e Putin non ha portato finora ad alcun reale progresso verso la tregua. Ieri il quotidiano russo Kommersant riferiva voci autorevoli secondo cui Putin avrebbe detto: “Se gli ucraini non mollano sulle cinque regioni conquistate, mi prendo anche Odessa”. Il nome di Odessa entra ed esce come un fantasma.

L’incontro in Arabia Saudita

Se l’Ucraina dovesse perdere quell’ultimo porto, alla fine della guerra resterebbe di quel Paese una landa disarmata e disossata. Dunque, Putin e Trump hanno deciso di ripatire da zero con un vero incontro di persona in Arabia Saudita, lo Stato delle mediazioni. Il mondo che aveva brindato allo straordinario incontro telefonico fra America e Russia come ai tempi del “disgelo” durante la Guerra Fredda pensando di assistere a un primo piccolo passo verso la pace, ha malinconicamente registrato il nulla di fatto in attesa del nuovo appuntamento in Arabia Saudita fra una settimana. Il solo impegno concreto che Putin aveva preso era lo stop ai bombardamenti degli impianti energetici, ma quell’impegno non è durato una sola notte, come ha denunciato Zelensky davanti al Consiglio europeo.

Putin gela tutti

Quanto al resto, lo scambio di prigionieri c’è sempre stato, e la moratoria sul Mar Nero non è un impegno. Il mondo occidentale aveva non solo esultato, ma si era messo a discutere delle forze di peace-keeping da interporre fra i due eserciti dopo la tregua, per primi inglesi e francesi. Ma Putin li ha raggelati: “Se le truppe di un paese della Nato entrano in Ucraina, per noi è guerra”. E dunque Donald Trump è stato bombardato dai giornalisti alla Casa Bianca: “Aveva detto che ci sarebbero state forze di peace keeping, ma Putin dice di no. Qual è la verità?”. Trump respira profondamente e poi risponde: “Non è quello che mi era stato detto e penso che una forma di peace keeping si farà”.

Garanzia

Ma non c’era un accordo? Se il presente è vago, figuriamoci il futuro, prova ne sia che Usa e Russia hanno convenuto che occorre ripartire dall’Arabia Saudita e questa volta a quattr’occhi e sembra che ci sarà anche l’ex capo del Quinto dipartimento del FSB Sergey Beseda, l’uomo che più odia gli ucraini. Era stato licenziato per aver fallito nel 2022 ma adesso torna alla ribalta nel ruolo del duro. E il suo entourage annuncia la linea russa: “Non molliamo un centimetro ma concediamo all’Ucraina inerme e vinta di diventare una Disneyland mineraria di petrolio e terre rare”. Ed ecco che l’esercito mediatico putiniano, l’italiano in testa, ripete in coro il ritornello: quale migliore garanzia per l’Ucraina che vedersi trasformata in una prospera terra d’affari americana? Zelensky è furioso e l’Europa lo abbraccia ma può soltanto chiedere tempo per trasformarsi in una potenza militare in grado di usare la deterrenza, unico e solo strumento di pace: se mi attacchi, non vado solo nell’abisso ma ti porto con me. Brutalmente. E ci vogliono almeno quattro anni durante i quali restiamo alla mercé di Putin. il quale se tre anni fa aveva un esercito fatto di mercenari, galeotti e disgraziati soldatini nordcoreani, adesso dopo aver creato una economia di guerra è più temibile. Ma ciò che lo rende minaccioso non è tanto il suo esercito, ma la continua incessante quotidiana minaccia – primo capo di Stato dalla fine della Seconda guerra mondiale – di colpire gli Stati europei e l’America con le sue duemila testate nucleari.

Conflitti razziali

Secondo “Foreign Affairs”, l’intelligence avverte che mai come adesso i russi stanno disarticolando sia gli Stati Uniti che l’Europa innescando conflitti razziali, nutrendo i neonazisti, provocando incendi e sabotaggi ferroviari. E pensano che il fidanzamento russo-americano potrebbe durare al massimo fino alle elezioni di mezzo termine nel 2026, quando Trump rischia una sconfitta a causa della situazione economica e della crescente tensione politica. Noi registriamo senza dare nulla per scontato, salvo il fatto che la pace appare sempre molto lontana e in crescente pericolo. Questo è il motivo per cui, dopo il flop telefonico, siamo tutti con i riflettori puntati sulla tenda in cui i due imperatori parleranno guardandosi negli occhi.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.