Economia
Automotive fuori controllo dell’Europa, produzione in affanno e mercato in fuga
Calo delle vendite, concorrenza cinese e mancanza di una politica industriale comunitaria penalizzano il settore Urgenti revisioni delle scelte ambientali e misure efficaci per superare i vincoli nazionalistici tra i produttori
Le difficoltà dei due principali gruppi automobilistici europei sono anche conseguenza delle loro scelte strategiche e poco serve scaricarne gli effetti sui lavoratori e sui rispettivi governi. Ha il fiato corto il tentativo per ottenere aiuti finanziari e una proroga della scadenza del 2035 del divieto di produrre auto a benzina e diesel fissato dell’Unione europea. L’andamento dell’intero settore in quest’ultimo decennio indica, infatti, l’esistenza di altri fattori critici ed una loro attenta valutazione da parte dei governi, delle forze politiche e dei sindacati è necessaria per le decisioni conseguenti.
Le immatricolazioni, cioè le vendite, nel 2023 di autovetture nel mondo sono state circa 65 milioni e 273 mila con un incremento dell’0,72% rispetto al 2019 (anno precedente la pandemia Covid). Il dato del 2023, però, indica un consistente calo di circa 5 milioni e 580 mila rispetto al valore massimo del 2017. In tutta l’Europa sempre nel 2023, le immatricolazioni assommano a 12 milioni e 847 mila, con una riduzione del 19% rispetto al 2019 che, tra l’altro, è stato anche l’anno del numero più alto di vendite in quest’ultimo decennio. La contrazione delle immatricolazioni in Italia è simile a quella europea (-18,28%), cioè 350 mila autovetture in meno. Considerando che nel 2007 sono state di circa due milioni e cinquecentomila, si deve ritenere che in Italia c’è un calo strutturale della domanda, malgrado gli incentivi e bonus erogati soprattutto per l’acquisto di auto elettriche. Tale tendenza, sicuramente, è influenzata dalla riduzione del potere d’acquisto e dall’incremento del prezzo medio delle auto: rispetto al 2013 si è avuto un aumento di circa il 60%. Il calo della domanda risente, però, anche degli effetti di altre trasformazioni nel nostro tessuto economico e sociale.
La maggiore offerta di trasporto collettivo a media e lunga distanza (alta velocità, Flixbus e low cost dei viaggi aerei) sta rendendo meno conveniente l’uso dell’auto privata. Lo stesso effetto disincentivante è determinato dal potenziamento delle linee metropolitane nelle grandi e medie città. Due indicatori confermano la minore propensione all’acquisto dell’auto privata: i consistenti incrementi delle vendite di auto per noleggio a lungo termine e di motocicli. Rispetto al 2014, le prime sono aumentate del 129% e quelle di motocicli superiori ai 50 cc. del 104%. È in atto, cioè, una tendenza costante a trovare un’alternativa più comoda e conveniente all’auto privata. Anche nei paesi europei più sviluppati si ritrovano queste trasformazioni quantitative e qualitative del trasporto privato. Le autovetture immatricolate nel nostro continente sono prodotte ancora prevalentemente da imprese europee che hanno coperto, nel 2023, il 68,13% del mercato al di sotto, però, di circa cinque punti rispetto al 2019. È aumentata leggermente l’incidenza dei produttori asiatici passando dal 19,6% al 21,82%; mentre rimane stabile (intorno al 6-7%) quella di marchi americani. Il mercato europeo è, allora, quello più esposto alla concorrenza asiatica.
A livello mondiale, si sta consolidando lo spostamento a favore di questi paesi, in particolare la Cina, del baricentro della produzione automobilistica. Nel 2023, il 68,53% dei 68 milioni di autovetture prodotte è di provenienza asiatica; nel 2014 era pari a circa il 58%. La quota di produzione americana è scesa ulteriormente, nello stesso periodo, dal 10,45% al 4,45%. Gli Stati Uniti confermano il loro disinteresse verso il comparto automobilistico, privilegiando attività più avanzate tecnologicamente. Inoltre, hanno trasformato questa loro scelta strategica nella possibilità di condizionare gli scambi commerciali mondiali con la minaccia di alti dazi nell’importazione di autovetture.
La produzione automobilistica europea è esposta contemporaneamente alla contrazione della domanda interna, alla concorrenza asiatica e alle difficoltà di esportazione verso gli Stati Uniti. Una situazione che fa emergere non solo le responsabilità dei produttori europei ma anche l’assenza di una politica industriale comunitaria, essendo prevalsa la difesa “nazionale” delle proprie imprese. Le velleitarie scelte ambientali rischiano di dare il colpo decisivo al settore “automotive”, malgrado l’esistenza di diversi studi che dimostrano che l’emissione totale di CO2 prodotta dall’intero ciclo di produzione e uso di autovetture (cioè non solo quella misurata ai tubi di scarico) sia sostanzialmente simile tra auto a motore endotermico o elettrico.
Le sorti dell’industria europea richiedono, innanzitutto, una radicale revisione della politica comunitaria per consentire una maggiore integrazione e concentrazione delle imprese, superando gli attuali vincoli “nazionalisti” che lo impediscono. Così pure, è urgente una riconsiderazione della politica ambientale che sta penalizzando imprese e famiglie e sta aumentando la subalternità del sistema economico europeo a Paesi esteri, così come è già successo nel campo delle forniture energetiche. Inoltre, gli stessi ingenti costi per la costruzione della rete di stazioni per le ricariche delle batterie delle auto elettriche non possono essere posti prevalentemente a carico del bilancio europeo e dei singoli Stati. È aperta, allora, una sfida importante per valorizzare l’intero settore e non saranno i “tavoli” regionali o nazionali a trovare le soluzioni. L’Unione europea deve fare scelte chiare e determinate, se non vuole cedere ai ricatti delle imprese e alle pressioni cinesi: speriamo bene.
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