Ciò che ne emergerà avrà implicazioni ben oltre i confini iberici
Blackout in Spagna, energie rinnovabili sotto pressione: le crepe sono evidenti

Una settimana dopo il blackout nazionale che ha paralizzato la Spagna il 28 aprile, il governo di Madrid continua a difendere la bontà della transizione energetica, puntando tutto sul ruolo delle rinnovabili. Ma l’episodio ha aperto una crepa profonda – tecnica, politica e ideologica – nel modello energetico spagnolo, e ciò che ne emergerà avrà implicazioni ben oltre i confini iberici.
In diverse interviste concesse ai media nazionali, la ministra per la Transizione Ecologica, Sara Aagesen, ha scelto una linea netta: “È troppo presto per stabilire le cause del blackout”, ha dichiarato, spiegando che l’inchiesta dovrà analizzare circa 750 milioni di dati. Ma ha anche aggiunto che “dare la colpa alle energie rinnovabili sarebbe irresponsabile e semplicistico”. Un’affermazione che suona come un atto politico prima ancora che tecnico. I grandi operatori elettrici – Iberdrola, Endesa ed EDP – riuniti nella loro associazione di categoria, hanno chiesto di partecipare all’inchiesta. Richiesta respinta. Aagesen ha risposto che neanche Redeia (il gestore della rete) fa parte del comitato d’indagine. Ma la decisione ha il sapore di una chiusura istituzionale che rischia di alimentare sospetti, non spegnerli.
Il nodo non è la quantità, ma la gestione
A oggi, non c’è prova definitiva che siano state le rinnovabili a causare il blackout. Ma i dati disponibili raccontano una storia diversa da quella rassicurante del governo. Un primo guasto – ha svelato la ministra – era stato assorbito dal sistema, ma appena 19 secondi dopo sono arrivati due nuovi incidenti, ravvicinati in appena 1,5 secondi, che hanno fatto collassare la rete. Un sistema elettrico resiliente deve poter assorbire scosse, instabilità e picchi di carico. Ma la Spagna, in quel momento, non lo ha fatto. Questo suggerisce che non è la presenza delle rinnovabili in sé a essere in discussione, bensì la gestione della loro integrazione nel mix energetico. Il vero tema non è ideologico, è ingegneristico. Nel caso specifico spagnolo il blackout e’ stato un insieme di eccesso di rinnovabili, unito ad un sistema energetico mal regolato. Un sistema quello spagnolo caratterizzato da reti non resilienti, e dall’assenza di sviluppo degli accumuli e che non ha previsto il distacco degli impianti rinnovabili oltre una certa potenza in caso di “overgeneration”.
Tecnologia, ideologia e mercato
Nel cuore della crisi spagnola c’è una tensione che riguarda tutto l’Occidente: come gestire la transizione verde senza compromettere la stabilità? Le rinnovabili sono volatili, intermittenti. Richiedono una rete flessibile, intelligenza artificiale, stoccaggio avanzato, e soprattutto investimenti. Ma quando il dibattito viene ridotto a una lotta tra “buoni ecologisti” e “cattivi fossili”, si perde di vista la complessità tecnica della transizione. Il blackout potrebbe essere un punto di svolta. Perché potrebbe rappresentare una occasione per correggere errori di progettazione e aprire nuove opportunità di investimento per le utility spagnole – ma solo se il governo avrà il coraggio di affrontare il nodo della sicurezza energetica senza ideologismi.
Le attese sul Parlamento
Domani il premier spagnolo parlerà in Parlamento e affronterà il tema del blackout. Non sono attese decisioni operative, ma ogni parola verrà pesata. Il rischio politico è che, nel tentativo di difendere una narrativa green, si finisca per scaricare responsabilità su tutti gli operatori del sistema – diluendo il problema fino a renderlo irrisolvibile. Il blackout del 28 aprile non è stato solo un incidente tecnico: è stato un segnale d’allarme. E come ogni allarme, può essere ignorato – oppure raccolto come opportunità per rendere la transizione ecologica davvero sostenibile. Non solo per l’ambiente, ma anche per il sistema Paese.
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