Caro Direttore,
lei sa perfettamente cos’è una legge-fotografia. È quella norma che, secondo i critici del diritto, è stata a tal punto pensata e ritagliata intorno alla figura e alla fisionomia dell’autore di reato che è come se ne portasse scritti, nero su bianco, il nome e il cognome. Gli emendamenti presentati da Fratelli d’Italia e immediatamente dopo la proposta di legge della Lega sul tema dei bambini da 0 a 3 anni in carcere, è dichiaratamente e sfrontatamente una legge contro una specifica categoria femminile: quella che Matteo Salvini definisce “borseggiatrici rom che usano bimbi e gravidanza per evitare il carcere”.

Una premessa: far risalire a un intero gruppo etnico una fattispecie penale è estremamente pericoloso e contraddice i fondamenti del diritto contemporaneo. Detto ciò, se un certo numero di donne di origine rom ha fatto e continua a fare esperienza del carcere (in genere per reati di poco conto), ciò discende anche – attenzione: abbiamo scritto anche – dal fatto che l’Italia ha adottato, su alcuni temi, una politica costantemente guidata dal pregiudizio etnico, la creazione dei campi nomadi ne è l’espressione più brutale. In altre parole, se produci segregazione abitativa è inevitabile produrre reati conseguenti. Essere incinte, inoltre, non è stato per nulla un salvacondotto e lo sa bene chi negli anni ha lavorato all’interno, per esempio, di Rebibbia femminile.

A queste donne le pene venivano sospese per poi doverle subire appena il figlio fosse nato. Quei reati, oltretutto, in origine non prevedevano la custodia in carcere ma in mancanza di “un domicilio idoneo” finivano per essere scontati lì, nella sezione nido delle carceri italiane. Il meccanismo era ed è marcio e il disegno di legge proposto dal deputato Paolo Siani lo aveva compreso, puntando sulle case-famiglia e sul supporto al nucleo madre-bambino, che andasse oltre un dispositivo carcerocentrico.

A Leda Colombini, partigiana e deputata della Repubblica, venne dedicata la prima casa- famiglia per madri detenute a Roma. Più di venti anni fa Colombini diceva che “se si concedessero gli arresti domiciliari alle donne condannate per reati che prevedono soluzioni alternative alla detenzione, il 97% delle donne non varcherebbe mai la soglia dei penitenziari, e con esse neanche i bambini”. Colombini, nel dicembre del 2011, morì davanti al carcere di Regina Coeli all’età di 82 anni e quella percentuale, così come la sua storia, hanno, dopo i fatti di questi giorni, un sapore di amara e dolente verità.

Luigi Manconi, Marica Fantauzzi

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