«Mai più bambini in carcere», aveva detto la ministra Marta Cartabia quasi un anno fa. Il governo si era impegnato a votare la proposta di legge presentata dal deputato napoletano Paolo Siani, una proposta che è stata lasciata per tanto tempo chiusa in un cassetto e poi rispolverata a fine maggio quando finalmente alla Camera c’è stata la prima approvazione con 241 voti favorevoli e 7 contrari. La proposta di legge è finalizzata a promuovere il modello delle case famiglia protette per detenute madri con figli piccoli al seguito, in modo da escludere che donne e figli conviventi di età inferiore ai sei anni siano costretti a vivere da reclusi. Una soluzione per porre rimedio a un orrore italiano, quello dei bambini dietro le sbarre.

Perché anche se in questi anni (pochi per la verità) si è passati dalle carceri vere e proprie ai cosiddetti Icam (istituti a custodia attenuata) è pur vero che si tratta di istituti di pena, di luoghi concepiti per la reclusione. Il fatto che gli agenti della penitenziaria non indossino la divisa e che le pareti siano colorate invece di essere tutte bianche o grigie non modifica la natura di quei luoghi, concepiti per sorvegliare e limitare la libertà di chi li vive. Quindi anche dei bambini. Si era detto mai più piccoli in cella, dicevamo. E invece i numeri diffusi nell’ultimo report del Ministero della Giustizia ci dicono che sono ancora quasi tutti lì dove sono sempre stati da quando sono nati.

Quasi tutti, perché in questi ultimi mesi in Campania si è registrata una sola “scarcerazione”, un solo caso di un bambino che ha potuto lasciare l’Icam di Lauro (unica struttura di questo tipo in Campania). Gli altri piccoli sono tutti “dentro”: hanno cominciato un nuovo anno scolastico vivendo all’interno di custodia attenuata, aspettando il pulmino di buon’ora, perché ogni mattina va prenderli prima degli altri alunni in modo da non far vedere a nessuno dei compagni di scuola che quei piccoli vivono in una sorta di carcere invece che in un normale condominio, e tornando a casa più tardi di tutti gli altri, perché sono gli ultimi ad essere accompagnati a casa sempre per lo stesso motivo di cui sopra, e cioè per non far vedere che la loro casa è dietro i cancelli e le mura alte di una struttura penitenziaria.

Vi sembra tutto normale? Possibile che la politica abbia dimenticato la sua promessa? Possibile che se ne disinteressi soltanto perché si tratta di numeri piccoli? Parliamo di ventitré donne detenute con ventiquattro bambini al seguito complessivamente in Italia, la maggior parte dei quali, tra l’altro, sono donne e bambini stranieri. I dati del Ministero della Giustizia, aggiornati al 31 agosto, confermano che è in Campania il numero più consistente di piccoli “detenuti”: dieci bambini, costretti a vivere in celle camuffate da monolocali con le loro mamme. Parliamo di dieci donne in totale. Numeri che non allettano la politica, attirata da cifre a molti più zeri. Numeri che però sono sufficienti a far parlare di un dramma silenzioso e ignorato.

Un dramma che la stessa ministra Cartabia aveva definito inaccettabile, tanto da affermare pubblicamente l’impegno del governo ad evitare in futuro bambini in carcere. Poi la caduta del governo, i diversi scenari politici, le imminenti elezioni che spostano le priorità di chi ambisce a guidare il Paese, e il tema dei minori in cella e delle mamme detenute è per forza di cose finito nell’ombra, dimenticato e accantonato. Eppure bisognerebbe tenere a mente questa realtà, perché riguarda bambini innocenti, piccoli di pochi mesi o di pochi anni, costretti a muovere i primi passi all’interno di luoghi delimitati dalle sbarre, a scandire i ritmi delle loro giornate con le rigide regole penitenziarie, ad ascoltare il rumore delle chiavi nei cancelli e pronunciare come prime parole “apri”, “chiudi” e tutti i termini del gergo penitenziario, conoscendo il mondo attraverso i filtri e le sbarre della reclusione. Vi sembra giusto?

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).