Il record è in Campania
Bambini in cella, si era detto mai più e invece aumentano
Dicembre 2021: «Mai più bambini in carcere», afferma la ministra Marta Cartabia. Luglio 2022: i bambini in carcere ci sono ancora e sono anche in aumento rispetto ai mesi scorsi. Sì, perché stando ai dati ministeriali aggiornati al 30 giugno, in tutta Italia si contano 25 bambini al seguito di 24 mamme detenute. Erano 18 al 31 maggio e altrettanti a dicembre quando la ministra annunciò un’iniziativa di civiltà che finora ancora non c’è stata. Praticamente in tuti questi mesi non è cambiato nulla, e ora la situazione sta pure peggiorando. Il record è in Campania con 10 bambini, circa la metà del dato nazionale.
Intanto l’iter della proposta di legge, voluta dal deputato napoletano Paolo Siani, per sostituire gli Icam con case famiglia protette, dopo circa un anno di attese ha ottenuto l’ok dalla Camera il 30 maggio scorso e chissà ora quanto tempo passerà per la pronuncia del Senato. Del resto, cosa volete che importi alla politica se un bambino resta dietro le sbarre qualche mese o anno in più? C’è grande indifferenza su questo tema. Forse perché si parla di bambini, forse perché si fanno i conti con numeri che non coinvolgono le masse. Eppure si era detto che anche un solo bambino in carcere sarebbe stata una sconfitta della giustizia, della civiltà, del diritto all’infanzia che invece va sempre tutelato. Per aprire uno squarcio nella tela dell’indifferenza e della scarsa conoscenza sotto cui quotidianamente si consumano i drammi di questi bambini innocenti, costretti a vivere i primi anni di vita in carcere, lo scrittore Lorenzo Marone ha visitato l’Icam di Lauro, l’unica struttura per detenute madri con figli al seguito presente in Campania. E da quell’esperienza sono nati il romanzo “Le madri non dormono mai” e la convinzione che «la responsabilità della politica è enorme».
«Entrai nell’Icam nel 2021, in pieno lockdown. L’idea nacque quando, parlando con Paolo Siani, venni a conoscenza di questa realtà di cui si sa pochissimo – racconta Marone al Riformista – Chiesi al garante Ciambriello di accompagnarmi ed arrivai a Lauro». «Fu una visita strana – ricorda – Quando si arriva all’Icam la sensazione è di entrare proprio in un carcere, con le mura alte e le telecamere. Una volta dentro fui accolto dai bambini che mi vennero incontro curiosi e urlanti. I bambini mi presero per mano e mi portarono a giocare in cortile dove c’erano scivoli e giostrine». Tutte le contraddizioni di quel luogo si palesarono. «I bambini avevano voglia di mostrarsi, di esibirsi, forse avevano anche un desiderio di interfacciarsi con una figura maschile – racconta Marone – . Le madri invece erano molto più diffidenti. Passai lì un’intera giornata, giocai con i piccoli e visitai le celle». Quei volti e quelle storie hanno ispirato il romanzo corale di Lorenzo Marone che non è un romanzo sull’Icam di Lauro ma una riflessione sugli ultimi, sui vinti, su concetti come carcere e libertà.
«I personaggi sono frutto di fantasia ma ispirati a bambini che ho conosciuto a Lauro», spiega lo scrittore. «Mi auguro – aggiunge – che questo libro possa nel suo piccolo contribuire a far conoscere questa realtà che quasi nessuno conosce ma che è un problema da risolvere. Non possiamo far crescere bambini di due o tre anni, nel pieno della formazione della loro personalità, in un carcere». Perché non bastano l’arredamento da miniappartamento, le giostre nel cortile e le pareti dipinte con personaggi di cartoni animati a rendere quel luogo diverso da quello che è: un carcere, pieno di sbarre, cancelli e serrature. «C’è anche un grande paradosso – osserva lo scrittore Marone – ed è legato al fatto che quei bambini, provenienti da situazioni di degrado sociale, trovano la cura, la presenza e l’assistenza dello Stato solo quando entrano nell’Icam dove c’è la pediatra che li visita periodicamente, ci sono le volontarie che fanno laboratori e doposcuola, c’è la psicologa. Il punto di domanda è perché questi bambini devono arrivare in carcere per avere questa mano dallo Stato?». È una riflessione che più volte il Riformista ha sollevato.
«C’è una responsabilità politica enorme – sintetizza Marone – . Siamo la terra con la maggiore dispersione scolastica in Europa – aggiunge, commentando i dati campani sui minori a rischio – e nessuno fa niente, manca una vera cultura della legalità. Mi trovo in grande conflitto con Napoli in questo momento, è una città martoriata ma non riesco più a difenderla. C’è una mancanza dello Stato a tutti i livelli, dal governo centrale alle amministrazioni locali, non abbiamo un’amministrazione da trent’anni e se ne pagano le conseguenze». Marrone racconta di aver visitato anche associazioni impegnate in periferie di frontiera, come la Fondazione di Maria a San Giovanni a Teduccio. «È una struttura che coinvolge tante famiglie – spiega – . Mi hanno spiegato che quando alle persone che vivono in queste zone degradate si apre una porta, si mostra un modo diverso di stare al mondo e le si coinvolge, queste persone rispondono. Il problema vero, quindi, è che non c’è volontà politica di intervenire con una presenza costante, a cominciare dalla dispersione scolastica». Lorenzo Marone parla dopo aver visto con i propri occhi i drammi dei bambini in cella e quelli dei bambini delle periferie degradate.
«Come dice Paolo Siani, bisogna ripartire dai bambini – conclude Marone -. Siamo la prima terra per dispersione scolastica, bisogna riportare i bambini a scuola ma investendo sulla scuola che oggi è ancora un’istituzione che funziona un quarto di quanto dovrebbe funzionare. È necessario quindi ristrutturare le scuole equi si torna al discorso della responsabilità della politica». È un discorso circolare, partendo dalle omissioni della politica ti porta alle iniziative che la politica deve assumere altrimenti da questo circolo vizioso non si esce. E Napoli lo dimostra quasi ogni giorno, con la cronaca della violenza e della devianza minorile, con i suoi numeri sempre più alti di quelli di altre città in fatto di minori a rischio e bambini innocenti costretti a vivere in carcere insieme alle madri detenute, con il degrado e l’incuria a cui ancora non si pone fine.
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