Il più piccolo è nato domenica nell’ospedale di Nola, l’altro un mese fa in quello di Avellino. Entrambi sono condannati a trascorrere i primi mesi o anni della loro vita in una struttura detentiva che sebbene a custodia attenuata equivale comunque a una sorta di reclusione. Qual è la loro colpa? Nessuna. Sono figli di donne arrestate o condannate per reati di furto in un Paese dove ancora non si è riusciti a trovare una vera alternativa per le detenute madri con figli al seguito.

A differenza del piccolo nato a Rebibbia qualche giorno fa in circostanze che hanno fatto gridare allo scandalo, i piccoli delle due mamme detenute nell’istituto di Lauro sono nati in una normale sala parto di un ospedale. Ma il prossimo futuro per loro sarà nell’Icam di Lauro, l’istituto a custodia attenuata che si trova nell’Avellinese e rappresenta l’unica struttura nella regione per detenute madri con figli piccoli al seguito. La donna che ha partorito un mese fa è reclusa per un furto da cento euro e il neonato vive con lei in una cella arredata come un piccolo monolocale. Il piccolo venuto alla luce domenica li raggiungerà a breve e presto nell’Icam arriverà un terzo neonato, addirittura, perché c’è un’altra detenuta incinta.

Quella dei bambini in cella con le proprie mamme detenute è quindi una realtà che meriterebbe più attenzione. Secondo i dati diffusi dal Ministero della Giustizia e aggiornati al 31 agosto scorso, il numero dei bambini che vivono assieme alle madri detenute è aumentato in Campania: sia arrivati a 12 donne e 14 bambini. È il numero più alto in Italia se si considera che nel Lazio si contano tre detenute e quattro bambini, in Lombardia tre detenute con complessivamente tre figli al seguito, mentre in Piemonte i dati più aggiornati parlano di due detenute e due bambini e in Veneto due detenute con tre figli al seguito. A livello nazionale, dunque, ci sono 26 bambini costretti a vivere i propri anni della loro vita in una cella perché non ci sono alternative per loro né per le loro madri detenute. Le donne con i figli al seguito in tutta Italia sono 22 e colpisce che circa la metà si trovi in Campania.

Un’alta percentuale di queste donne, inoltre, è rappresentata da detenute straniere, rom o extracomunitarie, per le quali il carcere diventa paradossalmente una soluzione quasi migliore della vita fuori. L’Icam è infatti una struttura attrezzata per ospitare donne con figli piccoli. Parliamo di bambini da zero a sei anni e, in qualche caso, anche fino a otto anni. Le finestre non hanno le sbarre, le pareti non sono grigie e buie, ogni stanza ha il proprio bagno e un angolo cottura, gli agenti della penitenziaria non indossano la divisa. Tutto questo vale ad attenuare per quel che si può il senso di reclusione che questi bimbi sono costretti a vivere, ma di certo non può essere paragonato alla vita che dovrebbe essere garantita a tutti i bambini.

«Siamo arrivati al paradosso che bisogna imprigionare le persone per aiutarle», tuona il garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello. «Siamo al paradosso che in carcere s’incontra lo Stato», dice parlando delle molte detenute rom o extracomunitarie che prima di essere arrestate vivevano con i propri bambini in condizioni di estremo disagio nelle periferie della città. «Dovremmo fare leggi, fare accoglienza, fare inclusione – sostiene Ciambriello – e mettere al centro i bambini perché con le leggi vigenti i bambini non sono al primo posto». In Campania, su 12 detenute madri presenti nell’Icam di Lauro fino al 31 agosto, nove sono straniere. E dei 14 bambini reclusi, undici sono stranieri.

È chiaro che il problema va analizzato e affrontato sotto più aspetti, compreso quello sociale, dell’accoglienza e dell’inclusione. E se si confrontano i dati degli ultimi mesi, si nota che il numero dei bambini costretti a vivere in cella assieme alle proprie madri aumenta con il passare dei mesi anziché diminuire. Che cosa non funziona nel nostro sistema sociale e giudiziario? Bisognerà chiederselo prima o poi. Non serve indignarsi solo quando accade un evento eccezionale, come il caso della detenuta che ha partorito a Rebibbia.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).