Il primo gemito del suo nascituro l’ha sentito dentro la cella del carcere femminile di Rebibbia in cui era rinchiusa. Ad aiutarla nel difficile parto la sua compagna di cella, anche lei incinta. Quando un giorno Amra, 20enne italiana di origine bosniaca, residente nel campo rom di Castel Romano, racconterà a sua figlia come e quando è nata, probabilmente non riuscirà a trovare le parole per spiegarle come mai abbia partorito in un istituto penitenziario. Perché la giovane donna, che deve ancora passare in giudicato per reati di furto, ha ricevuto come misura la custodia cautelare in carcere. Un provvedimento non definitivo che è durato fin quando è nata la bambina di Amra. Però, a causa delle sue condizioni, per la giovane donna doveva essere individuata una sistemazione alternativa. La norma infatti prevede che tale misura cautelare sia disposta per le donne incinte solo per casi di conclamata pericolosità sociale.

La denuncia del Garante

A denunciare la storia è stata Gabriella Stramaccioni, Garante dei detenuti di Roma, che, dopo essersi recata in carcere il 14 agosto, si è attivata affinché per la donna, così come per la sua compagna di cella, venisse valutata una detenzione alternativa.

Stramaccioni ha incontrato Amra nell’infermeria dell’istituto penitenziario, dove era ricoverata insieme ad altre due rom incinte e ai pazienti psichiatrici.  Come racconta al Riformista, Stramaccioni ha scritto al magistrato competente il 17 agosto scorso per chiedere una soluzione alternativa alla detenzione cautelare imposta alle due donne incinte, di 20 e 25 anni. Come la Casa di Leda, una struttura protetta aperta dal marzo del 2017 per la tutela delle detenute con figli minori: può ospitare fino a sei persone e otto figli da zero a 10 anni. La sollecitazione non ha però ricevuto risposta. Forse, sottolinea il Garante, per il periodo di ferie osservato da molti.

La Garante non ha dubbi. Al di là delle sfortunate coincidenze determinate dal periodo festivo, le donne incinte e i bambini non devono entrare in carcere. Per loro deve essere prevista una soluzione alternativa, come l’ingresso in una struttura comunale oppure l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari. “I bambini non devono entrare in carcere, così come le donne incinte – afferma Stramaccioni al Riformista – La detenzione preventiva nei penitenziari deve essere presa in considerazione come extrema ratio, solo per i casi di conclamata pericolosità sociale”. Ma la Garante tiene a precisare che dietro l’applicazione della misura di custodia cautelare in carcere non ci sia una condotta pregiudizievole o discriminatoria.

L’evoluzione

La giovane Amra ha partorito la notte tra il 2 e il 3 settembre nella sua sua cella. Si è addormentata tranquillamente, senza avvertire alcun dolore che potesse segnalare il parto imminente. La situazione è precipitata nella notte: i dolori, le richieste di aiuto e l’intervento salvifico della sua compagna di stanza, che l’ha aiutata subito. Quando il medico è arrivato in cella, la bambina era già nata.

Il giorno dopo per Amra e la sua compagna di cella è arrivato il provvedimento del pm, che ha disposto l’arresto domiciliare. Le due giovani donne sono tornate al campo rom dove abitano. Amra potrà crescere la sua bambina in un ambiente consono; la sua compagna di stanza, la 25enne, potrà invece proseguire con tranquillità la sua gestazione. E’ ora al settimo mese di gravidanza ed è entrata nell’istituto penitenziario di Roma il mese scorso mentre è in attesa di giudizio per furto.

I numeri

Il numero delle detenute incinte o con figli minori non supera le sessanta l’anno, ma l’attenzione resta comunque alta. Per questo, nella legge di Bilancio 2021 è previsto lo stanziamento fino al 2023 di 1.5 milioni di euro l’anno dedicati all’accoglienza delle madri o dei padri con i bambini al seguito nelle strutture già esistenti o da istituire.