Pura fratellanza
Botte di fine anno: nella maggioranza guerra tutti contro tutti
Dal Superbonus all’inchiesta Anas-Verdini, l’aria che tira nel centrodestra non è delle migliori. C’è chi si frega le mani
Si vogliono bene nella maggioranza. “Siamo uniti anche se diversi”, ripete il vicepremier Tajani che nell’ultimo Cdm dell’anno avrebbe portato a casa una “prolunga” del Superbonus edilizio. Il condizionale è d’obbligo visto che gli alleati, tra Lega e FdI, in Transatlantico ieri si davano di gomito: “Non si capisce perché Forza Italia stia festeggiando, in quella norma c’è poco o nulla, vedrai quando lo capiranno, sarà un boomerang”. Si vogliono bene, appunto. Così tanto che i Fratelli d’Italia si fregano le mani – in silenzio e di nascosto – per l’inchiesta della procura di Roma che giovedì ha disposto gli arresti domiciliari per Tommaso Verdini, figlio di Denis, “cognato” di fatto del vicepremier Matteo Salvini fidanzato e convivente della sorella Francesca. Le ipotesi di reato vanno dalla corruzione al traffico di influenze: la Inver srl, società di consulenza di Tommaso, sarebbe il tramite tra la politica e gli affari. Sul tavolo, appalti dell’Anas per un valore di 180 milioni e tangenti pari al 10% dei singoli importi. I Fratelli si danno di gomito, con nonchalance, provano ad avere informazioni ulteriori sulle contestazioni.
Ieri, ultimo giorno di scuola dell’anno, in aula e in Transatlantico c’erano i big, il ministro Giorgetti, il vicepremier Tajani, il ministro Picchetto Fratin, mezzo governo, tutti, quasi, meno uno: Matteo Salvini. Non è la Camera il suo ramo del Parlamento – Salvini è senatore – e ieri non sarebbe stato salutare per il vicepremier e ministro delle Infrastrutture farsi vedere a Montecitorio.
L’aria che tira non è delle migliori tra i partiti di maggioranza e di governo: sospetti, battute, allusioni, sorrisini. Si vogliono così tanto bene, in maggioranza, che quando si smette, per un attimo, di ragionare sull’inchiesta della Procura di Roma, i deputati meloniani perdono quel mezzo sorriso ritrovato pensando ai presunti guai di Salvini e s’incupiscono. Ragionano a voce alta: “Certo che Fontana (il presidente della Camera, ndr) poteva anche fare a meno di istituire il Gran Giurì, non era obbligato e non era necessario. La scelta di affidarlo a Giorgio Mulè, poi, che certo non ci è amico… Ci vogliono tenere sulla graticola”. Perché un conto è mandare davanti al Gran Giurì uno come Giovanni Donzelli che, per quanto fedelissimo di Meloni, è un semplice deputato. Cosa diversa è mandarci la Presidente del Consiglio.
E se Donzelli doveva rispondere di una faccenda un po’ più seria, uso improprio di carte riservate (era il caso Cospito, le carte furono procurate dal sottosegretario Delmastro che per questo è stato rinviato a giudizio), Giorgia Meloni dovrà rispondere di qualcosa assai meno grave: l’accusa all’ex premier Conte di aver rassicurato Bruxelles circa la ratifica del Mes nei giorni in cui però “era già dimissionario dal Conte 2”. La premier, un paio di settimane fa, sventolò in aula per due giorni di fila i fogli che erano la prova della sua accusa. Peccato che le date sopra indicate fossero sbagliate.
Così il Conte furioso ha chiesto di far giudicare la premier davanti al Gran Giurì. Una decisione che il presidente della Camera Lorenzo Fontana, fedelissimo di Salvini, poteva giudicare strumentale e passare oltre. Invece ha dato il via libera al tribunale parlamentare e ne ha affidato la presidenza a Giorgio Mulè che tra gli azzurri non è certo il più in sintonia con lo stile di Meloni e le scelte di Tajani. “Non mi sentirete mai dire che Fontana ha sbagliato, non dirò una parola sul Gran Giurì. So solo che finirà in nulla questo come quello che mi ha riguardato”, mette le mani avanti Donzelli mentre cerca di riconquistare l’aula ma è ancora con i piedi nel loggiato antistante. Può darsi, ma intanto la premier avrà anche questo fronte aperto. Almeno fino al 4 febbraio. Come non ne avesse altri. Donzelli non vorrebbe parlare neppure del sistema Verdini. “È una faccenda seria” ammette. Subito dopo prova a cambiare discorso, ma i giornalisti incalzano, “il sistema Verdini”, il “cognato del ministro”, “l’imbarazzo sul governo”, “l’ombra della corruzione”.
Scatto di smarcamento del Fratello d’Italia: “Andate a vedere chi aspetta fuori dalla villa a Pian dei Giullari (residenza di Verdini a Firenze dove trascorre gli arresti domiciliari, ndr), noi di Fratelli d’Italia no, noi non ci siamo”. Anche il vicepremier Tajani, pochi metri più in là, non vuol sentire parlare dell’inchiesta Verdini. “Io non so nulla e neppur voglio sapere, non gli sono né prossimo né parente”, taglia corto per mettere le distanze con Denis che una volta era la stella polare in Forza Italia. Tajani resta però garantista: “Sempre, fino alla fine e fino a prova contraria”. In mattinata il deputato Cafiero de Raho (M5s), ex procuratore antimafia, aveva chiesto l’audizione del ministro Salvini visto che “gli appalti oggetto dell’inchiesta insistono nell’area di competenza del ministero delle Infrastrutture”. Alla richiesta dei 5 Stelle hanno aderito Pd, Sinistra e Verdi. Gli ha risposto Costa (Azione): “Onorevole De Raho, le ricordo che non è più un magistrato e non può fare processi in questa aula”.
Eh sì ma intanto, in una sorta di ruggito del bavaglio, al prossimo divieto di pubblicazione di ogni atto fino all’udienza preliminare, i giornali pubblicheranno stralci di intercettazioni. Giorno dopo giorno, goccia dopo goccia, nome dopo nome per raccontare il sistema. E spiegare perché, per un’inchiesta di giugno 2023 (Tommaso Verdini indagato) relativa a fatti del 2021 (Salvini non era ministro) siano scattati ora gli arresti. La richiesta dei pm è del 20 dicembre. Reiterazione del reato, pericolo di fuga, inquinamento delle prove: per quale di questi motivi sono scattati gli arresti? Tra i deputati di maggioranza c’è chi si frega le mani.
Il sottosegretario Freni non è indagato. È nelle carte ma solo perché incontrava i Verdini e anche i manager di Anas infedeli che si erano offerti di passare informazioni sulla gare ad imprenditori vicini alle Inver srl. Tra i capannelli di Fratelli d’Italia, di Forza Italia ma anche leghisti, si elencano i nomi del cerchio magico. “E adesso sarà uno stillicidio”. Si vogliono molto bene in maggioranza. Pura fratellanza. E siamo solo a gennaio. Ci sono ancora cinque mesi di campagna elettorale.
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