Contro Lula come contro Allende. Camionisti bolsonaristi contro il Partito dei lavoratori uscito vittorioso dalle presidenziali di domenica scorsa come lo furono cinquant’anni fa i camionisti fascisti cileni contro il governo socialista dell’Unidad popular poi travolto dal golpe di Pinochet. Sembra la fiction di propaganda di uno sceneggiatore pigro e invece sono le immagini dal vivo dei tg della sera: tutto incredibilmente vero. Bolsonaro, stordito e arrabbiatissimo, arroccato nel Palacio del Alvorada dal quale il 31 dicembre dovrà sloggiare e non vuole, ha fatto a Lula un incredibile regalo: una scenografia vintage di barricate fasciste tali e quali a quelle cilene che nel 1973 spalancarono il Cile all’avvento di Pinochet.

Una miniera d’oro per i fotografi che si sono trovati, increduli ed entusiasti, allestite sulle autostrade brasiliane per ventiquattr’ore le stesse scene immortalate nei poster in bianco e nero sul più tragico golpe della storia d’America. Tir e autobotti messi di traverso sulle principali autostrade, davanti a tutti i grandi porti ed aeroporti per paralizzare il Brasile. Camionisti che dai loro abitacoli inneggiano al presidente sconfitto Bolsonaro e invocano via social il colpo di stato per disarcionare Lula prima ancora che si insedi al Planalto. Duecentottanta blocchi in ventitré dei ventisei stati del Brasile. Nemmeno il più ottimista dei consiglieri per la comunicazione di Lula poteva sperare in una accoglienza propagandisticamente più utile per la sinistra che torna al governo con solo l’1,8% di vantaggio ottenuto anche grazie alla chiamata a tutti i democratici a fare fronte contro la destra eversiva.

Il movimento dei Sem teto (i senza tetto) ha dato disponibilità a procedere allo sgombero senza aspettare la polizia che non arrivava. L’esercito lulista del movimento Sem terra, il movimento contadino per l’occupazione dei latifondi non coltivati – centinaia di migliaia di persone che negli anni d’oro dei due primi governi del Pt (2003-2010) furono in grande maggioranza abilmente cooptate dalla sinistra al potere – è rimasto fermo, convinto che uno scontro fisico con i bolsonaristi vada evitato. Il Pt in grande fibrillazione. Lula in silenzio.
Il braccio di ferro è durato un giorno soltanto. Il giudice Alexandre de Moraes, capo del Tribunale supremo elettorale, coperto di insulti da Bolsonaro negli ultimi mesi per le sue frequenti entrate a gamba tesa contro la sua campagna, ha ordinato al capo della polizia stradale – attivista bolsonarista che aveva invitato con la divisa addosso a votare Bolsonaro – di procedere allo sgombero, pena il licenziamento.

Alla riunione convocata all’Alvorada – presenti oltre al presidente uscente, il suo ministro della giustizia Anderson Torres, l’ex ministro della Difesa Braga Netto, il ministro dell’economia Paulo Guedes, il comandante dell’aeronautica Carlos de Almeida e un gruppo di militari suoi alleati – è stato deciso di non tentare la spallata. E ai camionisti è stato ordinato di non fare resistenza. E così il capo dello staff del presidente uscente, Ciro Nogueira, ha detto di essere stato autorizzato da Bolsonaro ad avviare la transizione. E Bolsonaro ha pronunciato il suo primo discorso da sconfitto, guardandosi bene dal nominare Lula e dal riconoscerlo come presidente eletto: ”Continuerò a seguire la Costituzione, il sogno continua più vivo che mai. Grazie per chi ha votato per me”.

Il giudice de Moraes, che un ruolo attivo ha svolto nella politica degli ultimi mesi in Brasile, domenica subito dopo la proclamazione del risultato era andato in televisione a dire: tutto si è svolto limpidamente secondo le norme di legge, le elezioni sono state pulite, il risultato è fuori discussione e comincia la transizione. La disponibilità delle forze armate al golpe non c’è stata. Molto hanno contato i riconoscimenti a tempo di record della vittoria di Lula e le congratulazioni piovute da tutto il mondo, rapidissima la Casa Bianca con una scelta di tempi concordata in largo anticipo. A Bolsonaro, giocata la carta dei camionisti favoriti dalla riduzione dei prezzi del diesel decisa dal suo governo, rimane la possibilità, se ne sarà capace, di preparare una mossa alla Donald Trump. Ha due mesi di tempo prima della cerimonia di insediamento di Lula. Esattamente quanti ne ha avuti Trump per preparare l’assalto al Campidoglio dopo la vittoria di Biden.

Per la verità gli converrebbe tentare un negoziato segreto e garantirsi un salvacondotto. Caduta l’immunità da presidente, Bolsonaro rischia infatti di finire sotto processo per mille capi d’accusa possibili: dai reati commessi durante la pandemia negata, per la gestione industriale delle fake news di cui ha inondato il Brasile negli ultimi anni, per gli attacchi anticostituzionali alle istituzioni, e per svariate oscure faccende relative alla sua vita precedente di deputato (perché nel 2018 s’è presentato alle presidenziali da outsider in nome dell’antipolitica, ma da due decenni stava in parlamento anche se se ne erano accorti solo i suoi ex commilitoni). La stessa cosa vale per i tre suoi figli maschi, tutti piazzati da lui in posti di comando, tutti sospettati di arricchimento illecito per grossi movimenti di fondi. C’è un patrimonio immobiliare a loro nome che risulta comprato in contanti. Potrebbe uscire dal Planalto e finire dritto in galera.