Bahia de todos os santos, di alcuni miracoli e di moltissimi colonnelli, ha un nuovo devoto. L’ex capitano dell’esercito Jair Bolsonaro. L’ultrareazionario presidente uscente del Brasile, si sta precipitando a Bahia, nel nero e povero Nord est per tentare in volata di guadagnare lì, nella terra più lulista di tutto il Paese, i voti necessari a superare l’ex presidente Luís Inacio Lula da Silva, fondatore del partito dei lavoratori, favorito al ballottaggio del 30 ottobre. Va lì per convincere i nordestini che la destra li coprirà di sussidi, distribuirà più soldi e a più persone di quanto ha fatto per 18 anni la sinistra.

Conta di consumare così la sua peggior vendetta contro Lula da cui domenica scorsa, in un primo turno al cardiopalma, l’hanno distanziato soltanto sei milioni di voti. Pochi. Troppo pochi perché Lula possa credere ai sondaggisti che gli dicono “con il 48,8% al primo turno è quasi impossibile non vincere al secondo”. Due conti: a Lula sono mancati un milione e ottocentomila voti per arrivare a quell’agognato 50% necessario a chiudere la partita senza ballottaggio. Ha avuto 57 milioni di schede, Bolsonaro 51. Ma adesso si rientra nel frullatore. E i numeri cambiano. Ballano i 38 milioni di voti possibili degli aventi diritto che domenica scorsa hanno votato in bianco o non hanno votato proprio. E i 10 milioni di voti andati ad altri candidati. Un terzo dei quali sono candidati di centro destra. E questi 10 milioni sono l’incubo di Lula che spande intorno a sé la certezza della vittoria, ma è invece preoccupatissimo perché quei 51 milioni di voti andati all’estremista di destra Bolsonaro gli hanno tolto ogni dubbio residuo sul fatto che la destra moderata in Brasile non esiste.

Lui, sperando esistesse, ha candidato come vice in ticket per la presidenza Geraldo Alckmin, ex governatore di San Paolo, il liberale che è stato tante volte suo rivale, dopo Fernando Henrique Cardoso forse il migliore dei suoi avversari. L’ha fatto per rasserenare gli animi degli industriali di San Paolo ed anche per attrarre quella destra che odia la sinistra, che è antilulista, ma odia ancor di più l’impresentabile violenza di un pistolero che al Planalto non sa cosa fare e fa far tutto ai generali che ha piazzato ovunque nel governo e nelle imprese statali. Quella destra moderata non esiste. O, se esiste, al primo turno non ha votato Lula. Gli stessi conti li fa Bolsonaro. E quindi dà per scontato che non val la pena contendere a Lula in questi venti giorni i voti moderati, spera di averceli già. Scommette che per vincere deve togliere voti a Lula tra i poverissimi che votano a sinistra ma non è detto lo facciano per sempre.

E così va a Bahia. A magnificare le promesse del suo Auxilio Brasil, una sorta di reddito di cittadinanza fatto dalla destra estrema.
In realtà Auxilio Brasil, 600 reais (circa 100 euro) al mese a 21 milioni di famiglie (dati ufficiali di settembre del Ministerio da Cidadania) che vuol dire all’incirca 53 milioni di persone, non è altro che la copia, impoverita di alcuni meccanismi di controllo che ne garantivano l’impatto sociale e l’efficacia nelle famiglie più povere con figli, del piano sociale Bolsa familia creato dal primo governo Lula, durato 18 anni, finché Bolsonaro non l’ha tolto. E lodato in infiniti organismi internazionali e riprodotto in molti Paesi.

Il governo Bolsonaro ha prima bloccato Bolsa Familia. L’ha cancellata. Poi le ha cambiato nome, così da toglierle il marchio lulista. E l’ha ripristinata. Prima a 400 reais al mese. Poi, senza copertura finanziaria ma in campagna elettorale, s’è lanciato a sforare i tetti di spesa, l’ha aumentata a 600 reais a ridosso del voto. E l’ha estesa. A novembre del 2021, quando sono cominciate le piogge di soldi di Auxilio Brasil, sono arrivate a un totale di 43,66 milioni di persone. Ad agosto la platea si è estesa a 53,58 milioni. Con una crescita del 6,9% rispetto a luglio. Già lunedì 3 ottobre, al risveglio dopo il primo turno, Bolsonaro ha ricominciato ad usare la macchina del governo per farsi campagna: ha annunciato che il prossimo assegno di 100 euro di Auxilio Brasil sarà pagato in anticipo. Ha detto che è merito di quel sussidio ai poveri se ha sballato tutte le previsioni dei sondaggi. E quindi farà arrivare il prossimo assegno prima del voto.

Il programma lulista faceva dipendere l’erogazione del sussidio dalla effettiva frequentazione della scuola dei bambini delle famiglie assistite e dalla disponibilità ad accedere alle cure mediche di base, vaccinazioni per i minori comprese. Auxilio Brasil prevede invece 65 reais in più al mese per ciascun figlio dagli zero ai 21 anni, senza limite al numero di figli beneficiari. I figli tra i 18 e i 21 anni hanno diritto a quei 65 reais in più se hanno concluso la scuola primaria. Anche le donne in gravidanza e le puerpere hanno un supplemento di 65 reais. Ad agosto sono stati distribuiti 26,8 milioni di reais in più in queste ultime fasce. Per avere una idea dell’impatto sociale della misura si può leggere questo dato del marzo scorso: nella maggior parte dei municipi dell’intero Brasile (non solo l’area depressa economicamente del nord est quindi ma l’intero, ricco Brasile) sono più le famiglie destinatarie del sussidio di povertà che i lavoratori (non in nero ovviamente). Il totale dei beneficiari di Auxilio Brasil supera la popolazione con impiego in 13 stati, tutti nel Nord en el Nord est. La metà dei destinatari di quei 100 euro al mese è nel Nord est. Bahia, per esempio, ha 16 milioni di abitanti, 1,8 milioni di lavoratori (non in nero) e 2,2 milioni di famiglie dipendono interamente dal pagamento del sussidio.

Ecco perché Bolsonaro va lì a giocarsi questi venti decisivi giorni di campagna elettorale. E sogna di ribaltare di segno politico la terra dei discendenti degli schiavi deportati dall’Africa, quegli elettori poveri e neri che popolano le statistiche sui maggiori indici di miseria del paese e che hanno regalato da sempre a Lula e al partito dei lavoratori percentuali di preferenza in alcune zone superiori al 75%. Spera nel miracolo perché Bahia è sì da vent’anni serbatoio di voti lulisti, ma è anche terra di antichi latifondi e vecchie famiglie di colonnelli locali: è l’antico regno dei Magalhães, dei Carneiro, dei Lomanto. I padroni del sertão, delle grandi distese dove un tempo si coltivava cacao e ora fanno capolino tra le palme le lamiere ondulate delle fabbriche di materiale edilizio, ormai dismesse. Sono anche i padroni del potere politico locale. E delle autostrade, delle farmacie, delle tv, delle scuole private, di tutti i palazzi affittati dalle istituzioni pubbliche.

Bahia è terra di Lula, ma la rete locale reale non la controllano le cellule del partito dei lavoratori, ma i resti dei tentacoli della vecchia famiglia dei Magalhães, proprietaria di un pezzo di Stato, prosperata sotto l’ombra del colonnello padrino Antonio Carlo Magalhães, tre volte governatore, una volta sindaco di Salvador, la capitale dello stato, quattro volte deputato, una volta ministro e due volte senatore. È stato anche presidente del Senato. Una volta l’hanno sorpreso mentre manometteva la tabella della votazione. La famiglia Magalhães ha deciso tutta la vita pubblica di Bahia per decenni. Il nome del padrino è stato imposto a tutti i primogeniti maschi. Il vecchio Antonio Carlo Magalhães aveva cariche pubbliche durante la dittaura finita nell’85 e ha continuato ad averne dopo.

È stato alleato dell’ex presidente Fernando Henrique Cardoso come prima lo fu dei militari. Il suo figlio prediletto avrebbe dovuto secondo i piani paterni esser candidato alla presidenza della repubblica finita l’era Cardoso e invece morì di infarto nel ’98 facendo footing. Il papà andava di notte a parlare alla statua eretta nella piazza principale. All’era Cardoso è seguita quella lulista, poi il governo meno fortunato della designata da Lula, Dilma Rousseff, poi la destra di Michel Temer, poi l’ultra destrad i Bolsonaro. E la famiglia Magalhães è ancora lì, proprietaria di mezza Bahia. I suoi vassalli ci sono ancora , variamente imboscati nelle pieghe dello Stato. Bolsonaro ha ragione di credere che quegli antichi portoni, alla vigilia di un ballottaggio cruciale per gli equilibri dell’intero continente latinoamericano, gli saranno dischiusi.