Maledetta Calabria e maledetti calabresi. È una maledizione che ci perseguita da più di due secoli, il generale Manhes, all’inizio dell’800, era stato esplicito: «… Io vi condanno d’ora innanzi a non far più parte della società umana. Voi siete ferocissime bestie… io vi tolgo i conforti e le speranze delle legge divina e vi bandisco fuori della legge umana». Ed infatti le sue civilissime truppe, con tanto di divisa e in nome della “legge”, furono autorizzate a stuprare le donne, uccidere i bambini, sgozzare i sacerdoti sull’Altare, incendiare le case e decapitare con accetta e mannaia migliaia di calabresi.

Poi vennero i Cialdini, i Fumel, la legge Pica – mezzo secolo più tardi – e infine, in perfetta linea storica con loro, oggi, le sistematiche retate che proiettano le immagini d’un popolo di criminali. Immagine che viene rilanciata pari pari in tempo di epidemia e che scorre veloce sulle televisioni nazionali mostrando la Calabria degli ospedali cadenti, delle fatture pagate più volte , delle mani della ‘ndrangheta sulla sanità, dei funzionari corrotti, dei politici incapaci e collusi con i criminali. Tutte cose vere.

La stranezza però è che sul banco degli imputati non ci sono coloro che avrebbero avuto il compito di vigilare sull’osservanza delle leggi e non l’hanno fatto sebbene la Calabria sia la regione più militarizzata d’Europa. E neanche le case farmaceutiche e le imprese, quasi sempre del Nord, che si sono pagati le fatture più volte. Tutto è costruito in modo da dimostrare che le uniche responsabilità sono da attribuire alle vittime del disastro. E dove a comprovare la tesi non bastassero i “giornalisti” arrivano in soccorso gli unici calabresi che hanno accesso quotidiano in televisione e che vengono chiamati a confermare l’impianto accusatorio. Il più noto è certamente il procuratore della Repubblica di Catanzaro che trasmette a reti unificate, e quindi il presidente della commissione parlamentare antimafia che ripete pedissequamente quanto detto dal primo.

Ed in questo contesto che il dottor Guido Longo, un super poliziotto (che si autodefinisce “sbirro”) specializzato nella caccia ai latitanti, e già comandante della sezione omicidi e narcotici, viene chiamato per dirigere la sanità in Calabria. E diversamente da altri, Longo sembra avere il gradimento del procuratore della repubblica di Catanzaro. Nasce così la Calabria dei vicerè. Tanti anni fa si proiettava un film apertamente razzista, Africa Addio, dove la devastazione del continente africano non veniva attribuita agli schiavisti ed ai colonizzatori ma alle barbare popolazioni indigene. “Calabria Addio”?. Ancora una volta ci mettono le mani addosso… ed almeno ci fossero i briganti (che non erano mafiosi).