C’è un grande interrogativo che avvolge i dirigenti dei partiti ogni cinque anni, alla vigilia della scelta del candidato sindaco alle elezioni comunali: meglio un civico o un uomo di partito? La tendenza civica comincia negli anni Novanta, quando, con l’elezione diretta dei sindaci, si iniziò a parlare con frequenza dei candidati della cosiddetta “società civile” per guidare coalizioni forti che aggregassero partiti diversi. Erano candidati che non venivano da esperienze partitiche pesanti, e che possedevano un background, quindi, che spostava il focus dalle posizioni ideologiche alle questioni inerenti al proprio bagaglio professionale e alle esperienze personali.

Non è un caso che questa tendenza inizi proprio negli anni Novanta: da un lato, i partiti crollano e buona parte della loro classe dirigente sparisce in quelle macerie; dall’altro, a crollare è anche la fiducia nei partiti e in generale nella politica. Ed è infatti questo il vero fattore che scatena la tendenza dei candidati civici: la sfiducia oramai generalizzata verso la politica dei partiti, una sfiducia che coinvolge anche le loro ideologie, i loro riti, le loro classi dirigenti.
Quindi, viva i civici! Soprattutto alle elezioni comunali, nelle quali a loro supporto possono creare reti di liste civiche, aggregando altre persone e altre biografie “fuori dai partiti”, per alimentare una coerenza narrativa all’operazione e allo stesso tempo per rafforzare il “posizionamento civico”, portando altri consensi che stagnavano al di fuori delle liste tradizionali di partito.

Su questo, il punto di vista del consulente politico è legato a doppio filo al tema del consenso, e parte da un presupposto semplice, difficilmente confutabile: una coalizione che allarga il perimetro, oltre ai partiti, a una rete di liste civiche capeggiate da un candidato civico con un profilo professionale e personale forte, è una coalizione certamente più forte rispetto a una costruita attorno a una formula classica. Tuttavia, ogni campagna è una storia a sé, infatti non si può trascurare che tra i sindaci più amati del Paese, molti abbiano una storia di partito: anche loro, però, sempre più fanno ricorso alla creazione di liste civiche per “allargare” i propri consensi. Spesso, queste liste civiche diventano in campagna elettorale addirittura il “partito del sindaco”, raggiungendo risultati insperati senza ricevere un traino del voto organizzato e delle preferenze.

Ma l’elemento che caratterizza realmente il candidato, in una campagna civica, è la biografia. Se la personalizzazione della politica è il paradigma assoluto entro il quale si muove la comunicazione politica del nuovo secolo, allora le nostre biografie ci definiscono molto più dell’ideologia. Anche perché le nostre storie non parlano solo in modo asettico di noi, ma trasmettono i nostri valori, le nostre priorità, il nostro carattere. Il candidato civico, inoltre, per forza di cose ha una storia politica più immacolata, ancora da scrivere: per un consulente, questa è una grande occasione, e permette di definire, partendo da zero, il posizionamento di un candidato. Sarebbe difficile fare altrettanto con un candidato politico, con una storia di partito forte e già conosciuta. La creazione di un posizionamento permette poi scelte più originali in campagna elettorale, con la possibilità di spiazzare, di sorprendere l’opinione pubblica e gli avversari, abituati ormai a campagne piatte e dai messaggi semplici.

Non va mai trascurato, però, che nulla rafforza un candidato come la credibilità. Ma la credibilità ha un costo: un candidato civico, se vuole allargare i propri consensi andando oltre gli steccati partitici e intercettando gli elettori disaffezionati e i delusi, non può legarsi alle dirigenze di partito, anche a costo di irritare alcuni alleati.
A Verona, notoriamente una delle città più a destra del Paese, alla foto del comizio di chiusura del sindaco uscente Sboarina, circondato dai leader dei partiti nazionali, proposi, da stratega della campagna di Damiano Tommasi, candidato civico sostenuto dal centrosinistra, di rispondere con una foto plasticamente opposta dove il leader, solo sul palco, scendeva a fotografarsi in mezzo a una marea umana di ragazzi in maglietta gialla, senza una sola bandiera in tutta la piazza. Pochi giorni prima, Tommasi aveva “bucato” l’appuntamento con Enrico Letta, segretario nazionale del Pd: un gesto forse provocatorio verso un alleato leale, ma che rese complessivamente l’idea di un sindaco autonomo, indipendente.

Un civico davvero libero dalle logiche di partito. E libero anche dai colori dei partiti: tutta la sua campagna fu costruita attorno a una scelta cromatica “diversa” da quella classica del centrosinistra, il giallo. Il suo avversario, mostrandosi circondato dai leader di partito del centrodestra, sembrò invece quasi “commissariato”: per un sindaco uscente, un segnale di debolezza estrema. L’anno scorso, in occasione della campagna elettorale vicentina, con Giacomo Possamai, giovane capogruppo del Pd in regione Veneto, quindi tutto fuorché “civico”, facemmo una scelta simile: nessun comizio con i leader dei partiti della coalizione. Non per esibire un civismo fittizio (che sarebbe sembrato anche un po’ ipocrita per un ragazzo cresciuto nel partito), ma per mostrare che, da amministratore, Possamai si sarebbe tolto le vesti di uomo di partito per indossarne di nuove, per mostrare, come Tommasi, libertà e indipendenza. Anche in questo caso, la campagna dell’avversario rafforzò la nostra linea: il sindaco uscente, Francesco Rucco, era un civico che in campagna elettorale si fece affiancare dal ministro Salvini in quasi ogni comizio elettorale.

Ma, dicevamo, le campagne elettorali sono tutte storie a sé stanti. E nel 2021, in occasione della campagna di Roberto Gualtieri per le elezioni comunali a Roma, nelle riunioni per pianificare la strategia del candidato, nessun membro dello staff mise mai in discussione l’importanza di valorizzare l’autorevolezza di Gualtieri, già ministro dell’Economia, affiancandolo ad altri esponenti di peso del partito e del governo. Scenari diversi, strategie diverse: è questa la base del principio per cui “le campagne elettorali sono abiti cuciti su misura”. Se “all politics is personal”, come spesso sottolinea il Presidente Usa Joe Biden, la personalizzazione non può essere messa in discussione. Ma una personalizzazione matura non contempla necessariamente l’azzeramento di tutto ciò che è politico.

Giovanni Diamanti

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