Nemmeno il tempo di far tornare in aula gli studenti, che per le scuole superiori della Campania si annuncia un nuovo stop alla didattica in presenza. Vista la risalita della curva dei contagi, la Regione medita di imporre la didattica a distanza (Dad) a partire dal 15 febbraio. Si vedrà. Nel frattempo non si può prescindere da un’analisi della gestione dell’emergenza in Campania e, in particolare, a Napoli. Nei giorni scorsi, come abbiamo detto, anche nella nostra regione è scattata la didattica integrata (Did), con la conseguenza che a metà degli studenti è stata data la possibilità di seguire le lezioni in presenza come previsto dall’ultimo dpcm firmato dall’ormai ex premier Giuseppe Conte.
Come ci siamo arrivati? Per una meditata scelta delle autorità competenti alla luce del contagio e delle condizioni di sicurezza nelle scuole? No! Ci siamo arrivati a causa di un ricorso al Tar contro l’ordinanza regionale, presentato da un gruppo di genitori, che lo stesso Tribunale ha ritenuto di accogliere. Ma il rientro in quali condizioni è avvenuto?
A una normativa nazionale (i famosi dpcm) che non garantisce condizioni minime di sicurezza, la Regione aveva appunto risposto con ordinanze restrittive. Dopo la sentenza del Tar, però, di fatto sono rimasti in vigore i soli dpcm e la Regione ha emanato mere raccomandazioni. In molti Comuni i sindaci – quelli che si preoccupano dei propri cittadini e non sono impegnati in campagna elettorale in altre Regioni – sono intervenuti con propri provvedimenti. Napoli, ovviamente, non è tra questi.
Data la confusione e le flessibilità consentite, i dirigenti scolastici si sono visti investiti dalla responsabilità di prendere decisioni. E cosa hanno deciso? Molte scuole, prima delle raccomandazioni regionali, avevano previsto una turnazione delle classi in presenza, con orari d’ingresso e di uscita scaglionati. Una scelta molto rischiosa, visto che non sempre la dotazione di aule assicura le distanze prescritte. E così, dopo le raccomandazioni regionali, alcune scuole hanno optato per quel “mostro” chiamato Did: metà classe va a scuola e fa lezione da scuola, l’altra metà sta in Dad, i docenti sono in classe tranne che in caso di malattia o di “fragilità”. Ovviamente la Did è nettamente peggiore della Dad: è terribile non solo perché il collegamento dalle aule della scuola è spesso pessimo, ma proprio perché fare didattica a metà classe in presenza e all’alta metà a distanza è complicato anche per i docenti più esperti, figurarsi per un corpo insegnante che è stato catapultato nel 21esimo secolo in pochi mesi e senza una formazione adeguata. Ciò che accomuna tutte le scuole è che famiglie e studenti sono giustamente preoccupati.

Gli interrogativi sono molti e di grande importanza. I ragazzi che devono stare per cinque o sei ore in una stanza con una ventina di persone tra compagni e professori sono meno importanti dei politici che svolgono le consultazioni con tutte le cautele necessarie per evitare il contagio da Covid? E, a monte, cosa si è fatto per i trasporti? I ragazzi che devono prendere autobus o metropolitane sono messi in condizioni di sicurezza o corrono un rischio elevato per poter fruire di una didattica di qualità non migliore rispetto alla Dad? E a scuola hanno un minimo di sicurezza?

I plessi sono dotati di impianti di sanificazione costante dell’aria? Una notizia molto interessante è quella della scuola di Portici dove, grazie a un impianto di sanificazione brevettato dalla Nasa e corrispondente a quello già utilizzato nelle navicelle spaziali, l’aria viene depurata giorno e notte, rendendo gli ambienti più sicuri e addirittura risparmiando agli studenti l’obbligo di indossare la mascherina. Quindi si può fare qualcosa di più diverso e sicuro dalla semplice apertura delle finestre in un mese freddo come febbraio! Forse, invece che in banchi a rotelle, sarebbe stato opportuno investire in impianti di sanificazione oltre che in collegamenti wi-fi funzionanti, lavagne interattive e formazione dei docenti alle metodiche della Dad e della Did.

E gli orari? Chi sta a scuola deve indossare la mascherina per ore e non ha neanche un luogo sicuro dove consumare una merendina. E chi sta a casa e non sente, non è coinvolto, non può intervenire, che cosa comprende delle spiegazioni? Poco o nulla. E i ragazzi che già hanno difficoltà? Ebbene, chi ha bisogni educativi speciali può restare a casa! E così succede che solo a chi più avrebbe maggiore necessità di seguire le lezioni in presenza è consentito (anzi, di fatto, imposto) restare a casa. Invece, nella stragrande maggioranza delle scuole superiori di Napoli, non è stata accolta quella parte delle raccomandazioni regionali che invitava le scuole a lasciare alle famiglie la possibilità di scegliere se mandare i ragazzi a scuola o preferire la Dad.

Quindi a scuola tocca andare. Ma sono stati approntati tutti i presidi medico-sanitari negli istituti? Solo in alcuni casi. E i tamponi? Sono stati fatti a tutti i docenti prima di far tornare i ragazzi a scuola come è avvenuto a settembre? Non risulta. Non c’è stato il tempo, data l’immediata applicazione della sentenza del Tar. I test si stanno facendo adesso? Non si sa. E i ragazzi? Se viene rilevato un caso di sospetto Covid, cosa succede alla classe? E, in particolare, alle classi dove hanno fatto lezione docenti provenienti da altre aule? Non si sa. Troppe le questioni che davvero lasciano grandi preoccupazioni. I ragazzi si sono ribellati. Hanno organizzato una protesta civile e seria, con rivendicazioni ragionevolissime. Cosa hanno ottenuto in cambio? Niente. Cari adulti, dalle più alte istituzioni alla politica, dalla magistratura alla scuola: che esempio stiamo dando a questi ragazzi?