Ci sono alcuni messaggi finiti nell’occhio del ciclone. Parte della corrispondenza sequestrata dagli inquirenti durante le indagini. Stiamo parlando dell’ormai purtroppo nota “mattanza”. Quella avvenuta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020 e per la quale il prossimo 7 novembre avrà inizio un processo. Il procedimento vedrà sul banco degli imputati 105 persone, tra poliziotti, medici e personale amministrativo. Secondo quanto spiegato dalla delegazione dell’osservatorio campano di Antigone a Il Riformista, in quei messaggi traspariva uno degli obiettivi di quelle violenze: costringere i detenuti da un regime di celle aperte a uno di celle chiuse. Lo scopo è stato raggiunto considerato che da allora i reclusi del “reparto Nilo” sono segregati in gabbia per 20 ore al giorno. Come i detenuti del reparto di massima sicurezza, solo che il “Nilo” sarebbe quello di prima accoglienza.

«Durante l’ultima visita (avvenuta lo scorso 20 luglio, ndr), abbiamo dovuto constatare che nonostante gli sforzi della nuova direzione di investire in nuovi percorsi di reinserimento, in tutti i reparti – tranne che per il “Volturno” – vige questa tipologia di regime detentivo». Sono state queste le parole dell’avvocato Gaia Tessitore, a capo di quella delegazione. Con lei l’avvocato Paolo Conte: «Una situazione drammatica, considerata anche la piaga del sovraffollamento e le elevate temperature che d’estate trasformano le carceri in un inferno». Persino il Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria (Sappe), in seguito ad alcuni episodi di violenza avvenuti all’interno del carcere casertano, ha denunciato tale situazione. «Così non si può andare avanti – ha dichiarato il Segretario regionale Emilio FattorelloIl lassismo che caratterizza il penitenziario di S.Maria Capua Vetere è imbarazzante ed intollerante. Da mesi il Sappe denuncia che non ci sono un direttore ed un Comandante di Reparto titolari, fissi, in pianta stabile, eppure i vertici regionali e nazionali del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ndr) non assumono provvedimenti urgenti». Anche per gli agenti della penitenziaria, in costante sotto organico, la vita in carcere è dura: eppure nulla lo Stato ha fatto fino ad oggi per risolvere il problema della mancanza di personale.

«In carcere quello che manca è il lavoro – ha affermato il Segretario generale del Sappe Donato Capeceche dovrebbe essere obbligatorio per tutti i detenuti dando quindi anche un senso alla pena ed invece la stragrande maggioranza dei ristretti sta in cella venti ore al giorno, nell’’ozio assoluto. E farli stare fuori dalle celle dodici ore al giorno senza fare nulla non risolve i problemi, anzi!». E c’è dell’altro: venti dei poliziotti imputati sono ancora in servizio all’interno del penitenziario di Santa Maria. «Manca il numero sufficiente di educatori e del personale sanitario – ha detto Emanuela Belcuore, Garante per i diritti dei detenuti per la provincia di Caserta – E questo causa due gravi problematiche: da una parte una difficile assistenza sanitaria, dall’altra l’assenza delle attività trattamentali. Inoltre non dimentichiamo i tanti casi di covid riscontrati in cella».

Ma c’è una “buona” notizia. Dopo 26 anni, ovvero da quando il carcere di Santa Maria Capua Vetere è stato costruito, dovrebbe essere presto concluso il processo di allaccio del penitenziario alla rete idrica cittadina. Perché purtroppo nel 2022, in Italia, questa è una novità positiva: il fatto che all’interno di una struttura detentiva ci sia l’acqua corrente.

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Nato a Napoli il 26 maggio 1986, giornalista professionista dal 24 marzo 2022