«Dopo aver subìto critiche e sospetti per le denunce presentate, apprendiamo ora che ci fu un uso smisurato e insensato della forza, una violenza a freddo», afferma il garante regionale Samuele Ciambriello, commentando la notizia della richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura nei confronti di 107 fra agenti e funzionari della penitenziaria nell’udienza preliminare per le torture e i pestaggi avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Ciambriello è parte civile insieme al garante nazionale Mauro Palma, all’associazione Antigone, ad altre associazioni che si occupano dei diritti dei detenuti e molti dei reclusi che subirono le violenze messe in atto dagli uomini della penitenziaria il 6 aprile 2020.

Si era in piena pandemia e le tensioni erano altissime ovunque. Il giorno prima un gruppo esiguo di detenuti inscenò una breve protesta per chiedere mascherine e tamponi. La risposta della penitenziaria il giorno seguente fu quella che gli inquirenti hanno definito «orribile mattanza». «Ho sempre detto, sin dai primi giorni rimanendo però inascoltato, che questa storia era una ferita gravissima della dignità delle persone e quando arrivarono i primi avvisi di garanzia subii critiche e umiliazioni di politici che continuavano a dire che era stata una rivolta», aggiunge Ciambriello ricordando il muro di diffidenza da superare. Perché quando si parla di carcere si fa presto a definire vittime e carnefici secondo cliché populisti.

Poi sono arrivate le denunce messe nero su bianco, le foto e infine le riprese video che hanno documentato le sequenze della mattanza, la dinamica e i volti di chi eseguì la spedizione contro un centinaio di detenuti del reparto Nilo. Le indagini durarono poco più di un anno. Nessuno aveva mai parlato di quei pestaggi se non alcuni dei diretti interessati e i garanti. «Per tanto tempo c’è stato molto silenzio attorno a questa vicenda – ricorda Ciambriello – . Si potrebbe parlare oltre che di mattanza di Stato anche di silenzio di Stato». Un silenzio interrotto quando su giornali e web cominciarono a circolare le immagini e i video dei pestaggi. A quel punto il dubbio si dipanò. «Con piacere voglio ricordare che oltre alla nostra costituzione di parte civile c’è anche quella del garante nazionale e del Ministero della Giustizia», aggiunge Ciambriello sottolineando come in questa vicenda ci sia stato anche un momento in cui al danno si unì la beffa.

Fu quando l’inchiesta della Procura sammaritana arrivò alla svolta con le misure cautelari (poi revocate) nei confronti di una buona parte degli oltre cento poliziotti e funzionari indagati e contemporaneamente ci fu il trasferimento di una settantina di detenuti fra coloro che avevano subìto i pestaggi e poi denunciato. Ufficialmente quei trasferimenti furono decisi per tutelare i detenuti che avevano denunciato, ma nei fatti si tradussero in una sorta di seconda punizione per i diretti interessati perché furono portati in carceri fuori regione, alcuni anche a distanza di centinaia di chilometri, con tutte le difficoltà di fare poi i colloqui con i propri familiari. Una trentina di detenuti, in questo anno, sono rientrati in istituti di pena più vicini alla Campania, altri invece hanno deciso di mantenere la distanza fisica dal luogo di quell’inferno.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).