La decisione
Santa Maria Capua Vetere, 19 agenti accusati dei pestaggi liberi per le festività
Dai domiciliari alla libertà, seppure con l’obbligo di dimora. Sarà di nuovo Natale per i diciannove agenti della polizia penitenzia, sotto accusa per i pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere del 6 aprile 2020. Sarà un Natale da quasi liberi, di certo senza le restrizioni imposte dal regime di arresti domiciliari che gli fu applicato a giugno scorso, all’esito delle indagini sulla «mattanza» compiuta contro 178 detenuti del carcere casertano un anno e mezzo fa.
Il giudice li ha rimessi in libertà con cinque giorni di anticipo sulla scadenza naturale della misura cautelare, disponendo per loro il solo obbligo di dimora. Tra gli agenti scarcerati ci sono gli ufficiali della polizia penitenziaria Gaetano Manganelli, Pasquale Colucci e Anna Rita Costanzo, e c’è il sovrintendente Salvatore Mezzarano. Il giudice Pasquale D’Angelo ha dato il via libera in vista del Natale disponendo per i poliziotti solo l’obbligo di dimora nel comune di residenza, mentre la Procura di Santa Maria Capua Vetere aveva presentato istanza di proroga degli arresti.
Gli agenti penitenziari sono tra gli imputati del procedimento che si è aperto il 15 dicembre scorso davanti al giudice di santa Maria Capua Vetere, udienza preliminare da record per i numeri del procedimento: centootto imputati fra poliziotti e funzionari dell’amministrazione penitenziaria, circa duecento avvocati del collegio di difesa più un centinaio quelli delle vittime, centosettantotto detenuti vittime delle botte, dei calci, delle manganellate e delle umiliazioni che squadrette di poliziotti penitenziari in assetto antisommossa hanno messo in atto il 6 aprile 2020, in quattro ore durante le quali si scatenò un inferno di violenza senza precedenti. Le accuse sono racchiuse in 43 faldoni, centinaia di chat e intercettazioni. I capi di imputazione contestati a vario titolo vanno dalle lesioni all’abuso di autorità, dal falso in atto pubblico alla cooperazione nell’omicidio colposo del detenuto algerino Lakimi Hamine, morto in cella a un mese dalle percosse.
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