La chiusura delle indagini sui pestaggi del 6 aprile 2020 porta con sé un dubbio, balenato nella mente di molti, e una nuova accusa, contestata a dodici fra i 120 indagati per i fatti accaduti un anno e mezzo fa nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Il dubbio riguarda la scelta adottata dalla Procura sammaritana di dare notizia della conclusione della fase preliminare dell’inchiesta con un comunicato stampa prima ancora che l’avviso fosse notificato a tutti gli indagati. La nuova accusa riguarda invece le circostanze che hanno portato alla morte in cella di Lamine Hakimi, un detenuto algerino con problemi di schizofrenia.

Procediamo con ordine. Ieri, intorno alle 13, in tanti saranno sobbalzati sulla sedia quando hanno letto su siti e agenzie di informazione la notizia della conclusione delle indagini sui pestaggi in carcere. Sicuramente sono sobbalzati molti degli indagati, anche fra i vertici della polizia e dell’amministrazione penitenziaria, che si aspettavano la notifica dell’avviso tramite pec o ufficiale giudiziario e si sono ritrovati, invece, la notizia spiattellata online. Ora, è vero che le persone sotto accusa sono 120 e perfezionare le notifiche a così tanti indagati e relativi difensori richiede sforzi e tempi decisamente lunghi, ma era proprio necessario dare la notizia prima a tutto il mondo, attraverso un comunicato stampa, e poi ai diretti interessati? Certo, la vicenda era già nota e i reati sono legati a violenze che segnano una delle pagine più tristi della storia penitenziaria, ma un avviso di conclusione delle indagini preliminari è pur sempre un atto giudiziario e il garantismo deve valere sempre e per tutti.

Nel comunicato stampa firmato dalla procuratrice Maria Antonietta Troncone si legge: «Nella giornata di oggi, nell’ambito del procedimento iscritto per le plurime condotte di tortura consumate a partire dal 6 aprile 2020, presso la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, questa Procura della Repubblica ha depositato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 120 persone sottoposte alle indagini preliminari». E, tra i vari passaggi, nello stesso comunicato si sottolinea che nel corso delle indagini «sono stati acquisiti elementi indiziari integrativi e accertate ulteriori ipotesi di reato, tra cui, in particolare, quella relativa all’omicidio colposo ai danni di Lamine Hakimi». A seguito di questa scelta comunicativa della Procura, dunque, c’è stato ieri chi ha scoperto su Internet, leggendo un comunicato stampa e non un avviso notificato in maniera ufficiale dalla Procura, che le accuse a proprio carico si sono addirittura aggravate. Possibile?

Passiamo al secondo aspetto, la nuova accusa per dodici indagati. Riguarda la storia di Lamine, il detenuto 27enne trovato morto in cella il 4 maggio 2020, un mese dopo i pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. La storia di Lamine era rimasta per mesi nell’ombra, archiviata come un dramma della disperazione e forse anche di quella patologia psichiatrica di cui pare che il giovane detenuto soffrisse. Ma con gli sviluppi dell’inchiesta sui pestaggi del 6 aprile 2020 è emerso il filo rosso che, secondo la tesi accusatoria, collegherebbe a quelle violenze anche la storia di Lamine e persino la sua morte. Lamine, secondo la testimonianza di alcuni reclusi del reparto Nilo, fu tra i detenuti prelevati dalla cella il 6 aprile 2020 e brutalmente picchiati. Calci in bocca, pugni e manganellate. Sulla testa, sulle costole, sulle gambe.

Dopo i pestaggi, Lamine sarebbe finito in isolamento: lamentava dolori alla nuca, lo hanno trovato morto il 4 maggio successivo. Avrebbe assunto «in rapida successione e senza controllo sanitario – ricostruisce l’inchiesta – un mix di farmaci, tra cui oppiacei, neurolettici e benzodiazepine» e questo ne avrebbe cagionato la morte per arresto cardiocircolatorio conseguente a un edema polmonare acuto. Di qui le accuse di omessa denuncia e cooperazione in omicidio colposo, reato quest’ultimo per cui figurano indagati l’allora comandante della polizia penitenziaria del carcere sammaritano Gaetano Manganelli e il provveditore regionale del Dap Antonio Fullone, tuttora sospeso, oltre gli agenti che erano nel reparto di isolamento. Per tutti vale la presunzione di innocenza.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).