«Prima del 6 aprile ci fu una lite tra due detenuti della sesta sezione del reparto Nilo e circa 50 agenti della polizia penitenziaria, muniti di scudi e manganelli, intervennero… Arrivarono e picchiarono indistintamente i detenuti. Se la presero anche con un detenuto che voleva proteggere uno più anziano». È una delle testimonianze finite al centro delle indagini sui pestaggi avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, un racconto che, a margine dei fatti del 6 aprile 2020 che sono il nucleo centrale delle accuse, vale a descrivere i rapporti che si erano creati tra alcuni gruppi di agenti e alcuni detenuti. Se saranno trovati riscontri a questa testimonianza, vorrà dire che il ricorso alla forza e alla violenza era un metodo che nel carcere di Santa Maria Capua Vetere non sarebbe stato limitato solo ai fatti del 6 aprile 2020. La testimonianza, infatti, fa riferimento a un episodio avvenuto circa dieci o quindici giorni prima di quel 6 aprile finito al cuore dell’inchiesta sulla «orribile mattanza» di un anno e mezzo fa.

Bisogna tornare indietro con la memoria a marzo 2020. Nel reparto Nilo del carcere sammaritano scoppiò una lite tra due detenuti e un gruppo di agenti di polizia penitenziaria, secondo la testimonianza di un detenuto, avrebbe pensato di sedarla con scudi e manganello. Erano addirittura una cinquantina gli agenti contro uno sparuto gruppo di detenuti, picchiati in maniera indiscriminata con l’intento di riportare ordine nel reparto. Quello stesso reparto che di lì a pochi giorni sarebbe diventato teatro di pestaggi di proporzioni mai viste e finiti al centro di un’inchiesta penale, «orribile mattanza» per dirla con le parole usate dal gip nel provvedimento di custodia cautelare firmato a giugno scorso nei confronti di una cinquantina di indagati fra agenti e dirigenti della polizia e dell’amministrazione penitenziaria. Le testimonianze e gli indizi raccolti nel corso delle indagini, indagini che la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha dichiarato concluse e che a breve passeranno al vaglio del giudice dell’udienza preliminare, fanno ipotizzare «un vero e proprio diffuso uso della violenza intesa da molti ufficiali come unico espediente efficace per ottenere completa obbedienza dei detenuti», si legge tra le accuse.

Se le violenze avvenute anche prima del 6 aprile trovassero riscontro, si avvalorerebbe l’ipotesi secondo cui «l’uso della violenza viene considerato da ufficiali e agenti come il migliore se non unico espediente per ottenere dai detenuti il rispetto delle regole» e i pestaggi del 6 aprile «non sono frutto dell’estemporanea escandescenza di qualche agente o ufficiale di polizia penitenziaria ma sono stati accuratamente pianificati e svolti con modalità tale da impedire ai detenuti di conoscere i propri aggressori». I reclusi, come emerso anche da alcuni video finiti agli atti, erano picchiati soprattutto alle spalle e costretti a camminare con la testa bassa e con la faccia rivolta verso il muro. E proprio sull’identificazione degli aggressori si giocherà una buona parte del confronto tra le tesi di accusa e difesa.

Sarà un processo dai grandi numeri: 85 capi di imputazione contestati, 120 nomi iscritti sul registro degli indagati, 177 detenuti individuati come vittime dei pestaggi. Tra le parti offese ci sono anche il Garante dei detenuti, l’associazione Antigone, che ha raccolto alcune delle testimonianze di detenuti picchiati e con la sua denuncia ha dato impulso alle indagini, e il Carcere Possibile, cioè la onlus della Camera penale di Napoli impegnata nella tutela dei diritti dei detenuti: sono pronti a costituirsi parte civile al fianco delle vittime dei pestaggi. Ora, intanto, il carcere di Santa Maria Capua Vetere è sotto i riflettori insieme all’intero sistema penitenziario. Perché al di là delle singole presunte responsabilità degli indagati, sulle quali sarà il processo a fare chiarezza, i fatti del 6 aprile 2020 hanno segnato un punto di non ritorno, rendendo più che mai urgente l’attenzione sul mondo penitenziario e sulla necessità di riforme.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).