Così è il carcere dell’epoca Bonafede
Dieci prigioni sotto inchiesta per torture. Mele marce? No, sistema

Il ministro Bonafede si è lamentato con i giornali che lo hanno tirato in ballo per lo scandalo del carcere di Santa Maria Capua Vetere. I giornali avevano realizzato un semplice sillogismo: se c’è stato un episodio di tortura di massa in carcere, e se le carceri non dipendono dal ministro dei Beni culturali ma da quello della Giustizia, la responsabilità non ricade sul ministro dei Beni culturali ma su quello della Giustizia. Che, nei giorni della azione squadristica nel carcere casertano, era proprio Bonafede.
Però ci sentiamo ora in dovere di informare il ministro anche di un’altra cosa. Probabilmente il pestaggio furioso a S. M. Capua Vetere non è stato un episodio isolato. Le inchieste che sono state aperte su episodi di pestaggi o di torture in carcere, sempre nel periodo del ministero-Bonafede, non sono pochi: dieci. Inutile continuare a parlare di mele marce. L’uso della violenza e della sopraffazione maramalda nelle prigioni italiane è una abitudine. Volete i nomi della carceri sulle quali sono state aperte inchieste per pestaggi e torture tra il 2019 e il 2020? Eccoli qui: Viterbo, Monza, Siena, Torino, Palermo, Milano Opera, Melfi, Pavia e Ascoli. Con S. M. Capua Vetere fanno giusto dieci.
Comunque Bonafede qualche ragione ce l’ha, nel suo ostinato respingere le proprie responsabilità. Nel senso che le responsabilità non sono certo solo sue. Probabilmente si è anche trovato, negli anni a via Arenula, a dover gestire una partita molto complicata, pressato dall’enorme forza di “suasion” del partito dei Pm e dalla smania manettara dei 5 Stelle. E poi c’è un secondo elemento a suo discarico (e noi lo abbiamo scritto dal primo giorno). La violenza in carcere non è l’esito della follia di qualche gruppetto di guardie. La violenza è il carcere. Il carcere la crea: sempre. Il carcere è un’istituzione folle, che al più presto va abolita o comunque ridotta ai minimi termini.
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