«Ci sono le immagini che provano le violenze. Forse gli agenti pensavano di restare impuniti, ma così non è». Sulla presunta spedizione punitiva degli agenti penitenziari contro i detenuti al carcere di Santa Maria Capua Vetere (nel casertano), il garante dei detenuti per la Campania, Samuele Ciambriello, non ha dubbi. Per lui lo scorso 7 aprile, dopo le violente proteste per le condizioni disumane dei carcerati aggravate dal Covid 19, il pestaggio c’è stato eccome e l’indagine «potrebbe allargarsi ad altri agenti». Per ora si indaga per reati di tortura e abuso di potere: sono 57 gli agenti nel mirino dei magistrati della Procura locale. Agenti che erano alle dipendenze di un comandante che, per triste ironia della sorte, si chiama Gaetano Manganelli. Secondo il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, si sarebbe trattato solo di una perquisizione straordinaria delle celle, ma i detenuti hanno sempre sostenuto altro, sorretti dall’associazione Antigone che pubblicava le sue denunce sulle irregolarità nelle carceri sotto Covid qui su Il Riformista già a marzo.

Un ex detenuto, testimone delle violenze, ha raccontato al quotidiano Domani di aver visto il video che sarebbe in mano ai pm, durante l’interrogatorio cui è stato sottoposto dopo l’uscita dal carcere: sono i fotogrammi probabilmente acquisiti dai carabinieri dalle telecamere di sorveglianza interne del carcere casertano. Immagini che si unirebbero al materiale proveniente dal sequestro dei telefoni di alcuni agenti. Manganellate, schiene sfregiate, denti rotti, occhi gonfi e varie contusioni. Secondo il testimone gli agenti erano 300, provenivano per lo più da altre carceri e ne avrebbero fatte di ogni. Non solo: a quanto dice i detenuti avrebbero solo subito le botte, senza reagire, mentre alcune ricostruzioni a favore degli agenti parlavano di bastoni usati dai carcerati contro le forze dell’ordine. Tra chi è stato picchiato, sostiene, ci sarebbe anche un disabile sulla sedia a rotelle, un uomo legato a un clan perdente di camorra che i suoi compagni chiamavano lo zio. Un altro detenuto, malato, le avrebbe prese per essere poi messo in isolamento e morire un mese dopo.

Il caso, ora, si fa politico e rischia di diventare una bomba per la maggioranza: ieri il Partito democratico ha presentato un’interrogazione al ministro grillino della Giustizia, Alfonso Bonafede, già nell’occhio del ciclone nei mesi scorsi per la gestione delle carceri durante l’emergenza coronavirus. Prima firma del responsabile dei temi giudiziari Walter Verini. «Il ministro è a conoscenza dei fatti riportati?» chiedono i dem, riprendendo quanto scriveva il Direttore del nostro giornale Piero Sansonetti, nell’editoriale di ieri. Il Pd domanda anche «se sia stata avviata un’inchiesta per accertare le eventuali responsabilità». Tutto questo, perché, conclude l’interrogazione, «le difficili condizioni nelle quali gli agenti svolgono quotidianamente il loro lavoro non possono in alcun modo giustificare, ove fossero confermati, simili gravissimi episodi». Durissimo il deputato di LeU Erasmo Palazzotto. «Nel carcere è successo qualcosa di spaventoso – ha scritto in una nota – Una totale sospensione dello Stato di Diritto. Quelli massacrati sono cittadini sotto la custodia dello Stato. Garantire la loro dignità e incolumità è compito delle Istituzioni. La funzione del carcere, è bene ricordarlo, è quella di riabilitare e reinserire i detenuti nella società. Quanto accaduto invece ha a che fare con l’annientamento della persona».

Intanto, denuncia Ciambrello, «presunte vittime e agenti denunciati sono ancora nello stesso reparto, faccia a faccia tutti i giorni. Una circostanza che tiene il clima in carcere costantemente teso». Per questo, aggiunge: «Non capisco perché il Dap non intervenga con i trasferimenti di detenuti o poliziotti». Ma Giuseppe Moretti, presidente del sindacato degli agenti, l’Uspp, smentisce: «Gli agenti prestano servizio esclusivamente nei settori esterni all’area detentiva».