Suicidi e atti di autolesionismo sono in aumento all’interno delle carceri. Il dato è anche campano ed evidenzia che una percentuale alta arriva proprio dal carcere di Santa Maria Capua Vetere, l’istituto attualmente sotto i riflettori per i pestaggi del 6 aprile 2020. Come mai sempre più detenuti cedono alla disperazione fino quasi a preferire la morte? Quale inferno si vive nel chiuso delle celle?

Di certo l’ultimo anno e mezzo è stato profondamente segnato dalla pandemia, dai lockdown, dalle misure anti-Covid che per i reclusi si sono tradotte in un aumento delle restrizioni, colloqui con i familiari per mesi sostituiti da videochiamate, sospensione di moltissime attività trattamentali. Nel carcere sammaritano il 2020 è stato anche l’anno del violento pestaggio nei confronti di 292 detenuti del reparto Nilo ora al centro di un’inchiesta della Procura. In questi mesi di tensioni e timori legati al Covid gli atti di autolesionismo sono aumentati in maniera allarmante. In tutte le 15 carceri della Campania si sono contati 1.232 eventi critici (erano stati 1.175 nel 2019), 196 di questi casi risultano avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. L’istituto di pena casertano è dunque al secondo posto per numero di casi dopo Poggioreale (dove nell’ultimo anno si sono contati 323 atti di autolesionismo). Tuttavia, se si considera che a Poggioreale ci sono circa 2mila reclusi e a Santa Maria 889, è evidente la dimensione del fenomeno. Quello sammaritano è anche il carcere dove non c’è acqua potabile, perché i lavori per la realizzazione di una rete idrica sono stati avviati da alcuni mesi, dopo un’attesa lunghissima: il carcere è stato costruito nel 1996.

Ebbene, in questa struttura, secondo il garante regionale Samuele Ciambriello, il numero di atti di disperazione fra i detenuti è in aumento. Nel 2020 si sono contati, oltre a 196 atti di autolesionismo, 30 tentativi di suicidio sventati dal tempestivo intervento di agenti della penitenziaria o compagni di cella dei reclusi (tre in meno rispetto a Poggioreale che però è il carcere più grande e affollato di Italia), due suicidi (su un totale di 9 casi registrati nel 2020, numero quasi doppio rispetto al bilancio 2019 nel quale si erano contati cinque suicidi in tutte le carceri della Campania). E inoltre due decessi per morte naturale, 112 scioperi della fame, tre evasioni sventate, una evasione, 64 casi di isolamento sanitario correlati ad altre patologie, 198 provvedimenti di isolamento disciplinare, un isolamento giudiziario.

Le ragioni di tanta disperazione e di tanto disagio sono da ricercare nella storia personale di ciascun detenuto, ma anche nel contesto in cui simili tragici gesti sono maturati. Sempre prendendo come riferimento il carcere di Santa Maria, dal report del garante regionale emerge che, a fronte di una capienza regolamentare di 809 posti, c’è una popolazione carceraria di 889 detenuti (187 dei quali stranieri), mentre gli agenti della penitenziaria sono 463 a fronte di una pianta organica di 470 unità. La carenza maggiore, dunque, non è sul piano del controllo ma su quello della rieducazione, che poi è la funzione principale della pena secondo la Costituzione. Per quasi 900 detenuti ci sono sei funzionari giuridico-pedagogici, quattro psicologi, 60 volontari e nessun mediatore culturale stabile ma solo a chiamata.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).