Per il carcere di Santa Maria Capua Vetere si fa più concreta finalmente la speranza di una rete idrica, il che equivale alla possibilità di acqua calda e fredda che sgorga dai rubinetti. Ieri si è dato il via ai lavori e si spera che gli interventi si definiranno nei trecento giorni prefissati: ma può davvero dirsi una conquista?

La notizia più che soddisfazione genera tristezza se si pensa che ci sono voluti più di quattro anni per sbloccare la procedura amministrativa per consentire i lavori e che per oltre 24 anni (il carcere fu realizzato nel 1996) i detenuti di quella struttura sono stati costretti a vivere (o meglio sarebbe dire sopravvivere) senza il diritto a un bene fondamentale come l’acqua, costretti a lavarsi con l’acqua marrone che usciva dai rubinetti andando incontro al rischio di dermatiti e infezioni varie e usare come acqua potabile la sola acqua razionata distribuita dalle autobotti. Per troppi anni il carcere di Santa Maria Capua Vetere è stato l’esempio di quanto lenta sa essere la burocrazia e orba una certa politica di edilizia penitenziaria. Una storia che per certi versi ricorda quella del carcere di Poggioreale, il più popolato della Campania, il più grande d’Italia: ci sono 12 milioni di euro stanziati per la ristrutturazione di vari padiglioni della casa circondariale napoletana e bloccati per anni al Provveditorato delle Opere pubbliche.

Il caso è stato più volte segnalato dal garante regionale Samuele Ciambriello e di recente qualcosa sembra essersi mosso nella direzione di dare concretezza al progetto, ma le questioni procedurali non si sono ancora del tutto esaurite e i lavori non sono ancora cominciati. L’edilizia penitenziaria resta, quindi, uno dei nodi del sistema carcere.
Con l’avvio dei lavori al carcere di Santa Maria Capua Vetere si spera in un cambio di passo. «Mi auguro che i lavori siano effettivamente rapidi – ha commentato il garante casertano dei detenuti Emanuela Belcuore – Che quel carcere sia stato costruito senza rete idrica è qualcosa di sconvolgente e inumano e al danno si è aggiunta la beffa se si considera che a ogni reparto si è scelto di dare proprio il nome di un fiume. Sembra una barzelletta, non lo è purtroppo. L’acqua potabile, che è un bene fondamentale, ai detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere è stata negata per troppi anni e, con la pandemia in atto, i reclusi e gli agenti della polizia penitenziaria, si sono ritrovati ad affrontare un problema doppio».

Costruito nel 1996 e ampliato nell’ottobre del 2013, secondo l’ultimo report del garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello, il carcere sammaritano ospita 944 reclusi, 61 dei quali donna e oltre cento stranieri, a fronte di una capienza regolamentare di 809 unità: dietro le sbarre, dunque, 135 persone “di troppo”. «Ho denunciato per anni tempi lunghi e dannosi per i diversamente liberi e per coloro che a vario titolo entrano nel carcere – commenta Samuele Ciambriello – Sono solo moderatamente contento dell’avvio dei lavori, considerati i tempi biblici: la politica ha impiegato cinque anni per far partire l’intervento, mentre il Ministero della Giustizia ha a suo tempo inaugurato un carcere lesivo dei diritti dei detenuti. Accanto alla certezza della pena – conclude il garante regionale Ciambriello – ci dev’essere la qualità della pena: alla persona che sbaglia può essere tolto il diritto alla libertà ma non il diritto alla dignità e alla tutela della salute»

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).