L'appello
Presidente Mattarella, è l’ora di alzare la voce per i detenuti
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella oltre che politico prudente, accorto, di esperienza, è giurista: quella speciale branca che è il Diritto costituzionale. Della Costituzione è, come s’usa dire, “geloso” custode e difensore. Il Presidente della Repubblica, per il suo “essere”, per quello che rappresenta e incarna, conosce perfettamente doveri, prerogative, limiti: i binari entro dove può condurre la sua azione. Sarebbe irrispettoso qualsivoglia tentativo, da parte di chiunque, cercare di “tirare la sua la giacchetta”. Il Presidente della Repubblica proprio in virtù del suo incarico e della sua sensibilità è a conoscenza di quello che si agita, da sempre, nei luoghi più critici del nostro Stato: le carceri; e massimamente in questi giorni di emergenza pandemia.
Di sicuro il Presidente della Repubblica sa in che condizioni versano gli istituti quanto mai, letteralmente, di “pena”; come vivono i detenuti, e non solo loro: gli agenti della polizia penitenziaria e la comunità che ruota intorno alle carceri. Il Presidente della Repubblica è certamente a conoscenza, e indubbiamente segue l’evoluzione dello sciopero della fame “di dialogo e speranza”, intrapreso dalle esponenti radicali Rita Bernardini e Irene Testa, e a rotazione da decine di altre persone, iscritte e non al Partito Radicale, per sollecitare il Governo a intraprendere provvedimenti urgenti, necessari e doverosi se si vuole rispettare il dettato costituzionale. È certamente a conoscenza del fatto che analoghe iniziative, lodevolmente nonviolente, sono in corso in molte carceri da parte di detenuti.
Il Presidente della Repubblica avrà certo letto con partecipata emozione l’appello che Luigi Manconi, Roberto Saviano, Sandro Veronesi, hanno rivolto alla classe politica, attraverso un unico testo, pubblicato simultaneamente su tre prestigiosi quotidiani: La Stampa; La Repubblica, Il Corriere della Sera. Il Presidente della Repubblica avrà preso nota che ufficialmente sono stati censiti come contagiati dal Covid 897 detenuti e più di un migliaio di operatori penitenziari; e che dunque lascia perplessa la risposta del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede nel corso di un question time della Camera: tutto sotto controllo, il protocollo sanitario viene applicato e comunque la maggior parte dei contagiati sono asintomatici.
Il Presidente della Repubblica sarà certamente stato avvertito delle criticità in carceri come quelle di Tolmezzo, di Opera-Milano, Sulmona e molti altri istituti di pena. Sa bene che i luoghi chiusi e affollati sono letteralmente bombe sanitarie; se mancano gli spazi per attuare i protocolli e fare quindi gli isolamenti necessari, il contagio fatalmente si diffonde. I reclusi anziani e con gravi patologie sono quelli più vulnerabili e le carceri, perfino i luoghi considerati sicuri come il 41 bis, non sono in grado di proteggerli. Già si contano i primi morti.
Proprio per questo oltre cento studiosi hanno deciso, in queste ore, di unirsi alla iniziativa di Rita Bernardini, e degli altri digiunatori. Sono personalità del mondo accademico, docenti e studiosi di diritto penale e penitenziario, hanno sottoscritto un documento (primi firmatari Giovanni Fiandaca dell’Università di Palermo e Massimo Donini dell’Università di Modena e Reggio Emilia), e chiedono al governo «provvedimenti idonei a ridurre il più possibile il sovraffollamento delle carceri italiane… Come studiosi siamo particolarmente sensibili a due principi: il primo è l’umanizzazione della pena, con un livello accettabile di protezione dei diritti dei detenuti, tra i quali prioritario il diritto alla salute». Ecco: il Presidente della Repubblica Mattarella queste cose le sa, non c’è necessità alcuna di ricordargliele, di “tirarlo per la giacchetta”. Da cittadini c’è solo da chiedere, con rispetto e fiducia: “Fino a quando?”. “Perché non ora?”. “Un messaggio nelle forme ritenute le più idonee, non sarebbe opportuno, necessario, urgente?”.
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