Da una parte i denuncianti, cioè i detenuti che hanno riferito alla magistratura di essere stati vittime di insulti, minacce e percosse. Dall’altra i denunciati, cioè 57 agenti di polizia penitenziaria che, secondo la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, sarebbero i responsabili di quelle angherie. Nel carcere della cittadina del Casertano si respira un’area pesante. Anche perché nella struttura, archiviati i timori legati alla diffusione del Coronavirus, si sono manifestati altri problemi. Un esempio? Dalle docce e dai rubinetti scorre acqua giallastra e diversi detenuti avrebbero già accusato irritazioni cutanee. A denunciarlo è il garante regionale dei detenuti, Samuele Ciambriello, ieri in visita proprio a Santa Maria Capua Vetere.

Quelle del penitenziario sammaritano sono la cartina di tornasole delle condizioni dei penitenziari campani: quasi sempre sovraffollati, spesso privi di servizi essenziali, come le docce nelle camere di pernottamento, e di sufficienti figure sociali, indispensabili per garantire la rieducazione dei condannati. «Il carcere non può essere contenimento – spiega Ciambriello – ma dev’essere soprattutto accudimento sulla scia del dettato della Costituzione. Per centrare questo obiettivo è necessario che vi siano più psicologi, più volontariato e più terzo settore che traghettino i detenuti verso la loro nuova vita». Qualche numero? Stando alla relazione sulla condizione delle carceri campane, a fine 2019, a Santa Maria Capua Vetere erano recluse 976 persone, di cui 217 in attesa di giudizio e 409 condannate in via definitiva, a fronte di una capienza regolamentare di 818.

A sorvegliarli 413 agenti, nonostante in pianta organica siano previsti 480 posti. Ma le carenze più evidenti riguardano le figure sociali cui ieri ha fatto riferimento Ciambriello: solo cinque funzionari giuridico-pedagogici, quattro psicologi, nessun mediatore culturale. Poco per una struttura chiamata a rieducare i detenuti. Pochissimo per un penitenziario in cui ospiti e personale, già normalmente sotto stress, vivono adesso momenti di forte tensione legati ai presunti maltrattamenti ai quali, il 6 aprile scorso, un gruppo di poliziotti avrebbe sottoposto alcuni detenuti, “rei” di essersi barricati in un padiglione per chiedere efficaci misure di prevenzione del Coronavirus. «Bisogna evitare strumentalizzazioni e polemiche pretestuose – ha aggiunto ieri Ciambriello visitando i padiglioni Nilo, Danubio e Tamigi – Alla politica dico di non essere parolaia né populista e di mettere in campo progetti concreti per le carceri e gli operatori penitenziari».

La stessa politica alla quale fa appello il garante, però, ha già dato ampia prova di inefficienza e di sostanziale disinteresse nei confronti della popolazione carceraria. Emblematico è il caso di Poggioreale, dove migliaia di detenuti sono stipati in celle spesso fatiscenti, caratterizzate da muffa, umidità, perdite d’acqua e fili elettrici scoperti. Una vergogna, soprattutto se si pensa che per ristrutturare i padiglioni del penitenziario napoletano sono disponibili 12 milioni di euro già da tre anni. Proprio così, tre anni. Un lasso di tempo in cui la politica non è riuscita ad avviare i lavori indispensabili per assicurare una detenzione più umana agli ospiti di Poggioreale.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.