Quella che si perpetrò nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020 fu una “orribile mattanza”. Dopo le prime indagini, la Procura sammaritana ha chiesto il rinvio a giudizio per 108 persone, tra a genti e funzionari dell’amministrazione delle carceri. Gravi per loro le accuse a vario titolo: tortura, lesioni, abuso di autorità e falso in atto pubblico. Dodici agenti dovranno rispondere anche per la cooperazione nell’omicidio colposo di un detenuto algerino, Lakimi Hamine, deceduto il 4 maggio 2020 dopo essere stato tenuto in isolamento dal giorno delle violenze.

Per gli investigatori Lakimi, detenuto fragile, dopo aver subito le botte e poi messo in isolamento dove avrebbe assunto “in rapida successione e senza controllo sanitario un mix di farmaci, tra cui oppiacei, neurolettici e benzodiazepine”. Sarebbe stato questo a causare un mese dopo la morte per arresto cardiocircolatorio conseguente a edema polmonare acuto. L’udienza per questo caso è stata fissata dal gip Pasquale D’Angelo nell’aula bunker del carcere di Santa Maria Capua Vetere.

Sono invece 12 gli indagati per i quali la procura ha chiesto l’archiviazione. Questi ultimi potrebbero essere condannati a una pena pecuniaria perché in quanto pubblici ufficiali non avrebbero denunciato le violenze in carcere. L’udienza preliminare si terrà il 15 dicembre.

Un’indagine che si avvale delle testimonianze raccolte dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza interne che hanno ripreso quei momenti definiti “un’orribile mattanza” dal gip Sergio Enea che il 28 giugno scorso emise 52 misure cautelari, spedendo otto agenti in carcere, 18 ai domiciliari, e disponendo tre obblighi di dimora e 23 misure di sospensione dall’attività lavorativa per poliziotti e funzionari.

Le telecamere ripresero i detenuti mentre venivano costretti a passare in un corridoio formato da agenti penitenziari con manganelli e caschi, subendo calci, pugni e manganellate; anche un detenuto sulla sedia a rotelle fu colpito mentre altri furono letteralmente trascinati per le scale e presi a calci. Condotte che per la Procura e il gip hanno integrato il reato, introdotto nel 2017, di tortura, mai contestato a così tanti pubblici funzionari.

Dopo il 6 aprile – ha accertato la Procura – iniziò inoltre l’attività di depistaggio da parte di agenti e funzionari con certificati medici falsificati per dimostrare che gli agenti avevano subito violenze dai detenuti; gli indagati provarono invano anche a manomettere le telecamere. Nel frattempo comunque, specie dopo l’avviso di conclusione indagini, qualche agente ha iniziato a collaborare permettendo alla Procura di “arricchire” l’altro filone d’indagine che mira ad indentificare quei quasi cento agenti rimasti finora senza un’identità, visto che dei 300 poliziotti intervenuti il 6 aprile 2020, oltre un terzo indossava caschi e mascherine e non è quindi mai stato individuato.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.