Nuove indagini dopo i pestaggi del 6 aprile 2020
Pestaggi in carcere, minacce a due detenuti per indurli a ritrattare
Santa Maria Capua Vetere, pestaggi in carcere, una storia infinita. Sembrava che l’inchiesta sulle violenze avvenute ai danni di centosettantotto detenuti del reparto Nilo il 6 aprile 2020 avesse chiuso il cerchio, che la sequenza benché terribile si fosse esaurita in quelle tre ore di inferno che alcuni dei reclusi hanno poi avuto il coraggio di denunciare e che le telecamere del circuito interno di videosorveglianza dello stesso carcere sammaritano avevano inquadrato.
Sembrava tutto messo nero su bianco nelle pagine dell’ordinanza di custodia cautelare con cui la Procura di Santa Maria Capua Vetere, nel giugno scorso, aveva chiesto misure cautelari per gli agenti più compromessi dai capi di imputazione contestati (arresti poi in larga parte revocati) e sembrava tutto definito in quel pugno di accuse ora al vaglio del giudice dell’udienza preliminare e che è stato un colpo nello stomaco di tutti quelli che credono nelle istituzioni. «Una mattanza orribile» la definì il gip al termine della lettura di tutti gli elementi di indagine, una «mattanza di Stato» l’hanno ribattezzata i garanti e le associazioni in difesa dei detenuti che si sono presentati all’udienza preliminare al fianco dei detenuti picchiati (circa un centinaio) chiedendo e ottenendo di essere parte civile nel processo che ci sarà sui pestaggi del 6 aprile 2020.
Sembrava di aver visto abbastanza orrore, abbastanza abusi, abbastanza violenza. E invece la notizia di un’ordinanza che dispone la sospensione dal servizio, per i prossimi sei mesi, di un vice ispettore della polizia penitenziaria aggiunge un altro tassello a quella drammatica ricostruzione. Il vice ispettore in questione ha svolto fino a ieri il ruolo di coordinatore della sorveglianza generale proprio all’interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere dove ad aprile 2020 avvennero i maltrattamenti e le umiliazioni, le botte e gli isolamenti di buona parte dei detenuti affinché non raccontassero a nessuno del pestaggio e i lividi sul loro corpo diventassero meno visibili. Secondo i recenti sviluppi investigativi, questo vice ispettore avrebbe minacciato ripetutamente due detenuti per spingerli a ritrattare il racconto di quel 6 aprile 2020 o a modificare le dichiarazioni rilasciate agli investigatori sul suo conto.
Insomma, voleva che i due reclusi cambiassero versione a suo favore in modo da farlo uscire indenne dal processo per i pestaggi. Sulla base di questi sospetti investigativi al vice ispettore è stato contestato il reato di intralcio alla giustizia. L’agente non era stato raggiunto nel giugno scorso dalle 52 misure cautelari emesse dal gip di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di poliziotti e funzionari del Dap, ed essendo solamente indagato aveva continuato a lavorare nel carcere dove l’anno prima avrebbe preso parte alle violenze, a stretto contatto con alcuni dei detenuti che poi avevano denunciato i pestaggi. Un cortocircuito, ancora uno, segnale di un sistema, quello penitenziario, che ha mostrato tutte le sue criticità. L’udienza preliminare su quel che accadde il 6 aprile 2020 intanto va intanto avanti.
Giovedì sono state ammesse 88 parti civili e la Procura ha fatto richiesta di patteggiamento per 32 agenti fra i 108 che sono finiti sotto accusa. Tortura, uno dei reati più gravi fra quelli contestati a vario titolo: introdotto in Italia nel 2017, è contestato per la prima volta proprio in questo procedimento. E poi la cooperazione nell’omicidio colposo di Lakimi Hamine, il detenuto algerino affetto da schizofrenia morto in cella un mese dopo il pestaggio e dopo essere stato messo per giorni in isolamento. E ancora lesioni e ipotesi di falso. Sì, perché alcuni tentativi di depistaggio erano già emersi nella prima fase dell’inchiesta. E ieri si è aggiunto un nuovo episodio alla lista delle ipotesi al vaglio dell’accusa. Si attendono ulteriori sviluppi.
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