“Prendersi cura del nostro territorio è come occuparsi di un paziente. Oggi chi si farebbe curare con sistemi, conoscenze e farmaci di oltre 50 anni fa?”. Fabrizio Berra, docente di Geologia alla Statale di Milano, spiega così la situazione della cartografia geologica italiana. Una mappatura inadeguata, perché per l’ Italia intera si ha solo una copertura in scala 1:100.000, antica, perché alcuni dati risalgono ai primi del ‘900, incompiuta perché del grande progetto di mappatura in scala 1:50.000 avviato alla fine degli anni ’80, è stato portato a termine solo il 40% di tutto il territorio. Berra è coordinatore del Comitato di cartografia geologica della Società Geologica Italiana e spiega perché questo ritardo italiano è grave per la sicurezza di tutti e anche per l’enorme spreco di risorse in atto.

La più aggiornata carta geologica d’Italia appare come un mosaico di piccoli quadratini. In gergo tecnico si chiamano “fogli” e ognuno rappresenta circa 600 kmq del territorio. Quelli colorati sono le porzioni di territorio dove esiste una moderna carta geologica in scala 1:50.000, già pubblicata o in fase di pubblicazione. Quelli bianchi sono le grandi zone d’ombra del nostro territorio non ancora analizzate, o meglio, i cui dati risalgono agli anni ’60 nella migliore delle ipotesi. Costituiscono il 60% dell’intero paese di cui non si conosce nel dettaglio la composizione del territorio e del sottosuolo, di quali insidie nasconda e anche delle opportunità. È sorprendente notare che sono ancora per lo più in bianco gran parte della dorsale appenninica e l’intera dorsale calabra. Molte sono zone in cui ci sono le sorgenti sismiche di alcuni dei terremoti più devastanti d’Italia come quello in Irpinia, Umbria, Abruzzo, Emilia e Amatrice. “Per intenderci – dice Berra – dei quadrati bianchi abbiamo informazioni talmente vecchie che sono addirittura precedenti alla formulazione della Teoria della Tettonica delle Placche”.

 

 

La genesi di una cartografia completa e puntuale dell’Italia ha radici lontane nel tempo. Il primo a spingere il governo a promuovere la cartografia geologica in Italia fu Quintino Sella nel 1868. Poi ci fu la legge 29 giugno 1939 e il completamento della mappatura in scala 1:100.000. Negli anni ’70, con l’avvento di nuovi strumenti e tecnologie, fu deciso di realizzare una nuova carta geologica d’Italia, questa volta in scala 1:50.000 (con i rilevi originali svolti a scala 1:10.000, ancora più dettagliata). Alla fine degli anni ’80 un apposito quadro normativo e finanziario ne consente l’avvio con la legge n.67/88. Nasce così il progetto Carg, che prevede la realizzazione di 636 fogli geologici a copertura nazionale. Il progetto è svolto in collaborazione con le Regioni e le Province autonome, con il CNR e le Università ed è coordinato dal Servizio Geologico d’Italia (ora ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ndr) in qualità di organo cartografico dello Stato (L. 68/60). Ad oggi per la realizzazione di 281 fogli sono stati spesi fondi pubblici pari a 81.259.000,00 di euro, con finanziamenti di circa 3milioni all’anno che hanno avuto un andamento costante. Ma nel 2000 i finanziamenti si sono interrotti e il progetto è fermo da 20 anni. “La provincia di Bolzano è l’unica ad essere andata avanti nel progetto di tasca sua e ad aver completato la carta comprendendone l’importanza- spiega Berra – Dopo i terremoti che hanno colpito alcune zone di Italia sono partiti progetti specifici in accordo tra l’Ispra e le varie regioni interessate”. Dopo i terremoti, non prima.

La realizzazione delle carte geologiche è un lavoro accurato e lungo: per recuperare e analizzare i dati sono necessari da 3 a 5 anni. I geologi armati di martello, lente, bussola, taccuino, carte topografiche, tablet e gps percorrono a piedi kilometri osservando le rocce, appuntandone i dettagli e prelevando campioni per analisi. “Il costo di realizzazione di ogni foglio si aggira sul milione di euro – spiega il geologo – Una cifra che non è nulla rispetto ai danni che può provocare un terremoto in termini di vittime, danni strutturali, costi e problematiche relative alla ricostruzione”.
Se è vero che è impossibile prevedere con certezza i terremoti, con la carta si potrebbe procedere a una corretta prevenzione. “Lo screening di tutto il territorio – continua Berra – è anche la base per fare la microzonazione sismica, per definire gli effetti locali dei sismi, indispensabile per progettare infrastrutture solide, realizzare piani regolatori, intervenire per la messa in sicurezza e quantificare i rischi. Tutti i rappresentanti delle istituzioni dovrebbero tenere la carta geologica alla mano prima di decidere dove costruire o dove intervenire con urgenza per mettere in sicurezza le infrastrutture. O anche più banalmente un cittadino qualunque potrebbe consultarla per valutare eventuali rischi geologici nel suo territorio: le carte geologiche sono acquistabili o consultabili on-line sul sito di ISPRA. Tornando alla metafora del paziente, non si possono fare diagnosi appropriate se si parte da una radiografia fatta male, o fatta con i mezzi di 50 anni fa”. Il professore racconta che troppo spesso in passato la microzonazione è partita solo dopo i devastanti terremoti, per valutare le conseguenze di eventuali nuove scosse, come è successo anche ad Amatrice o all’Aquila, ma spesso senza avere le necessarie dettagliate conoscenze della geologia del territorio.

Berra non parla solo di prevenzione ma anche di opportunità: “Per esempio la Puglia – dice – ha un serio problema di siccità. È una delle regioni quasi interamente priva di carte geologiche moderne, ma se si conoscesse qualcosa in più potrebbe diventare migliore la gestione di risorse strategiche, per esempio le acque sotterranee”. Inoltre avere gruppi di geologi che percorrono e studiano palmo a palmo il territorio italiano porterebbe a una conoscenza tecnica capillare, inimmaginabile con altri strumenti. E crea anche lavoro per gli esperti del settore che spesso sono costretti a emigrare all’estero, nonostante il loro paese natale sia tra le zone a più alto rischio idrogeologico al mondo. Purtroppo il progetto Carg rientra nei tagli fatti dai diversi Governi degli ultimi 20 anni ed è fermo. “Ci rendiamo conto delle difficoltà di reperimento di fondi pubblici, ma se lo Stato finanziasse la realizzazione di un numero ragionevole di fogli all’anno, tipo 20 o 30, in 10-15 anni avremmo ultimato la carta geologica di tutta l’Italia e delle marine aree costiere – continua il docente – La gestione del lavoro sarebbe sostenibile e i costi molto più contenuti rispetto a qualsiasi intervento necessario dopo un terremoto, un’alluvione o una frana”.

“Come Società Geologica Italiana – spiega il professore – stiamo cercando di sensibilizzare le Istituzioni a continuare il lavoro del progetto Carg. Non abbiamo interessi diretti, perché non ne siamo partner, non siamo una lobby, siamo una storica associazione scientifica nata nel 1881. Vogliamo solo che gli italiani vivano meglio a partire da una buona conoscenza del suolo su cui vivono”. Per Berra sono troppi i motivi validi per non lasciare al palo la produzione di una cartografia geologica moderna con una scala adeguata (1:50.000, ma i lavori di rilevamento sono addirittura eseguiti alla scala 1:10.000, di elevato dettaglio) che copra con gli stessi criteri omogenei l’intero territorio nazionale, comprese le fasce costiere. “È una scelta irrinunciabile che porterebbe vantaggi a tutta la collettività”, ha concluso.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.