Il Mostro di Matteo Renzi – libro dal record di vendite – potrebbe contare già su una seconda edizione. Il materiale non manca. I capitoli nuovi si sommano con una certa velocità, mentre gli ingranaggi della macchina giudiziaria rimangono lanciati a tutto vapore contro il senatore fiorentino. Costretto adesso a presentare un nuovo esposto contro i pm titolari dell’inchiesta sulla Fondazione Open. Caso noto, Open è nel mirino da tempo; rintuzzati dalla Cassazione, i pm fiorentini che la indagano starebbero però inanellando qualche errore di troppo.

Renzi vuole rispondere – come ama ripetere – “colpo su colpo”. E ha così inviato una nuova carta bollata per denunciare come il procuratore aggiunto Luca Turco abbia aggirato l’ordinanza della Cassazione inviando al Copasir il materiale relativo all’indagine malgrado la suprema Corte avesse ordinato espressamente di restituirlo al legittimo proprietario, Marco Carrai. L’ex componente del consiglio direttivo di Open, Carrai, aveva infatti ottenuto ragione, vedendosi riconosciuto esplicitamente il dissequestro da eseguirsi “senza trattenimento di copia dei dati”, risultanti appunto da un sequestro illegittimo. Con il suo esposto, dunque, Renzi ha chiesto al procuratore di Genova Francesco Pinto di verificare l’eventuale sussistenza dei reati di abuso d’ufficio, rifiuto di atti d’ ufficio e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, tutti di procedibilità ufficio. E Renzi non si limita a questo, ma fa presente di avere chiesto di essere sentito per esporre nel dettaglio i fatti contestati.

“Nel materiale inviato dal dottor Turco al Copasir vi sarebbero anche documenti che riguardano il sottoscritto”, ha reso noto Renzi, “ma che la corte di Cassazione aveva già deciso di eliminare dal fascicolo con decisione assunta in data 18 febbraio”. Nel caso in cui tali documenti fossero stati realmente inviati al Copasir, afferma dunque Renzi, “saremmo davanti ad un fatto gravissimo. L’invio ai membri del Copasir arreca un danno ingiusto al sottoscritto perché in violazione di un preciso ordine della suprema corte veniva fatto circolare materiale illegittimamente acquisito, che doveva essere restituito al proprietario, senza alcuna possibilità di conservazione da parte dell’ufficio che, anzi, avrebbe dovuto ordinare la distruzione della copia in suo possesso”. Prosegue l’istanza dell’ex presidente del Consiglio: “Il fatto che questo materiale contenesse informazioni sensibili quali messaggistica, corrispondenza e documenti del sottoscritto era evidente, come è palese che, almeno in questo caso, non possa sussistere alcun dubbio sull’elemento psicologico: il procuratore sapeva che quel materiale andava distrutto, sapeva che riguardava anche il sottoscritto , sapeva che avrebbe creato un pregiudizio alla mia persona e alla mia attività politica oltre che alla mia reputazione professionale”.

Il ricorso segue un atto precedente: Renzi aveva già presentato un esposto contro l’ ex procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, l’aggiunto Turco e il sostituto Antonino Nastasi contestando l’ abuso d’ ufficio: secondo il leader di Italia Viva, infatti, i magistrati avrebbero aggirato le guarentigie parlamentari. Fatto peraltro confermato anche dal Senato, che ha sollevato il conflitto di attribuzioni davanti alla corte costituzionale. L’aggiramento delle guarentigie si verifica con il sequestro di quattro mail ricevute da Renzi nell’agosto 2019, a lui inviate da Carrai e acquisite senza previa autorizzazione del Senato, una nota della polizia giudiziaria in cui si riferisce del decreto di acquisizione del suo intero estratto conto bancario del periodo 2018-2020 firmato l’11 gennaio 2021, l’acquisizione dei messaggi WhatsApp scambiati con l’imprenditore Vincenzo Ugo Manes in occasione di un viaggio a Washington nella tarda primavera del 2018 e quelli scambiati con Carrai. Il 1 giugno, però, il Gip ha archiviato la denuncia: secondo il giudice, le chat intercorse tra Vincenzo Ugo Manes e Renzi, nonché quelle tra Marco Carrai e il leader di Italia viva sono utilizzabili in quanto “non si tratta evidentemente di sequestro di corrispondenza effettuato direttamente nei confronti del senatore Renzi”.

Insomma, il fatto che si tratti di mail inviate o ricevute dal senatore Renzi è una pura casualità, una coincidenza fortuita, non voluta. Ma non solo: secondo il giudice, non si tratta nemmeno di comunicazioni e di corrispondenza “in quanto la giurisprudenza ha chiarito che i messaggi di posta elettronica memorizzati nelle cartelle dell’account o nel computer del mittente ovvero del destinatario, costituiscono meri documenti informatici, intesi in senso statico, dunque acquisibili ai sensi dell’Art. 234 c.p.p.”. La mail, spiegano i giuristi, non va confusa con la sua traduzione inglese, “posta elettronica”, “corrispondenza”. No, no. Si tratta di documenti statici. La richiesta di autorizzazione – deriva dunque dall’argomento delle toghe coinvolte – non sarebbe stata necessaria in ogni caso. Non ci sarebbero infatti elementi per sostenere, stando all’assunto del giudice, che i magistrati stessero cercando proprio Renzi con quella loro attività di acquisizione dei dati.

Considerazioni che – comprensibilmente – non hanno convinto il leader di Italia Viva, che in una memoria di oltre 100mila pagine aveva evidenziato come “l’acquisizione mirata di corrispondenza e documentazione di parlamentari in violazione delle guarenti legge costituzionale è stata ripetuta reiterata”. Non si tratta d’altronde dell’unica zampata della magistratura alle guarentigie parlamentari. Proprio il Senato, che sembra diventato all’improvviso Terra di nessuno, alla mercé delle scorribande togate, vede anche il senatore dem Stefano Esposito subire un simile trattamento. La vicenda che lo ha riguardato, mettendolo al centro di una innumerevole sequenza di intercettazioni, trae origine da una inchiesta della Procura di Torino. L’indagine a carico dell’imprenditore dello spettacolo Giulio Muttoni ha permesso ai magistrati di mettere sotto la lente – e il microfono – l’attività del senatore Esposito nel pieno del suo mandato parlamentare. Tra il 2015 e il 2018 notte e giorno la sua utenza è stata registrata, con oltre 500 files depositati dalla polizia giudiziaria. Una attività illecita, stando alla giunta per le immunità di Palazzo Madama che adesso, anche su questo incredibile episodio, è determinata ad andare in fondo.

Il Senato ha sollevato il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale con 117 voti a favore, 37 contrari e otto astenuti. Votando così una relazione molto dura che investe anche il Csm di una verifica sulle incongruenze di questo caso. Il senatore Giuseppe Cucca, Italia Viva, si è scaldato illustrando la relazione: “Si è manifestata una palese violazione della Costituzione perché il Senatore Esposito è stato sottoposto ad intercettazione dal 2015 al 2018 mentre era ancora Senatore quindi avrebbero dovuto chiedere un’autorizzazione preventiva. Quando è stato chiesto reiteratamente che venisse trasmesso tutto alla Giunta, il giudice prima non ha risposto e poi ha fatto una questione di merito disattendendo le richieste parlamentari”. Sorprendenti le parole del senatore Pietro Grasso, che dalla magistratura proviene e che è solitamente meno severo nel criticare certi eccessi. Stavolta è stato proprio lui, prima in Giunta e poi in aula, a chiedere la trasmissione degli atti al Csm.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.